LA SALMA DI PIETRO MARTINI
ALCUNE NOTE SULLA STORIA DELLA SUA CONSERVAZIONE
di Corrado Zedda
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Lo studio della figura di Efisio Marini ha interessato il mio lavoro
per vent’anni, da quando iniziai i miei studi universitari fino
ai giorni nostri, prendendo, a volte, molto del tempo che dedicavo
e dedico alla ricerca scientifica in ambito medievalista, che poi
è il mio filone di studi peculiare.
Solo da alcuni anni una fortunata serie di coincidenze professionali
e umane mi ha consentito di indagare in modo più puntuale
ed efficace alcuni momenti importanti della figura e dell’opera
di Marini; un percorso che è passato delle volte per iniziative
non sempre soddisfacenti dal punto culturale, ma che è arrivato
fino alla riesumazione dei giorni scorsi, nel Cimitero Monumentale
di Bonaria. Si è trattato di un evento sul quale occorre
riflettere attentamente, tenendo lontani gli aspetti più
eclatanti e spettacolari, quelli che possono colpire il grande pubblico
ma che possono facilmente distrarre dall’aspetto prettamente scientifico.
Sui particolari tecnici della riesumazione in cimitero rimando,
per brevità, al valido articolo pubblicato da Celestino Tabasso
su “L’Unione
Sarda” del 28 febbraio 2006, mentre per le notizie
e le novità sull’autopsia, effettuata il giorno stesso della
riesumazione, nel cimitero di San Michele, devo mantenere la riservatezza
che con tutto il gruppo di lavoro si è deciso di adottare.
I risultati saranno divulgati solo alla fine di un procedimento
complesso che prevede, in ogni caso, esami e confronti che prenderanno
giocoforza diverso tempo ai ricercatori incaricati di svolgerli.
Per tali motivi inseriremo nel sito solamente alcune foto, non relative
all’autopsia ma scattate al momento del rinvenimento del corpo dentro
il loculo.
Sul fronte dell’indagine storica, invece, che riguarda l’ambito
di mia competenza, in attesa di pubblicare una più corposa
ricerca, che ho attualmente in corso, basata su documenti d’archivio
e dell’epoca, posso anticipare per il sito dedicato a Efisio Marini
alcune sintetiche considerazioni, le quali lasciano trasparire amaramente
i motivi reali delle condizioni in cui è stata rinvenuta
la salma del pietrificato.
All’indomani della riesumazione della salma del Martini, pietrificata
da Efisio Marini subito dopo la morte (27 febbraio 1866)), dopo
aver constatato con rammarico, non privo di un certo sconcerto,
i danni irreparabili prodottisi sul corpo dell’illustre pietrificato,
i dubbi e le domande si sono immediatamente rincorsi sulle cause
che hanno concorso a provocare lo sfascio e il degrado del quale
siamo stati tristi testimoni insieme al Dottor Antonio Maccioni
e agli altri studiosi intervenuti alla riesumazione.
Come è stato possibile, abbiamo pensato tutti i presenti,
che una salma ottimamente conservata fino agli inizi del ventesimo
secolo potesse aver subito un simile deterioramento? E soprattutto,
qual era stata la storia della salma, della sua conservazione e
della sua collocazione, a partire dal 1866 fino ai giorni nostri?
Alla luce degli esiti recenti molti particolari sembrano poco chiari
rispetto a quanto si conosceva.
Un documento di base che presenta alcuni punti fermi sull’intera
vicenda, è il Verbale della ricognizione sulla salma, effettuata
l’11 settembre 1871, alla presenza fra gli altri, del fratello di
Efisio Marini, Salvatore, e di Agostino Lay Rodriguez, che fotografò
il cadavere pietrificato.
Tale verbale, che ho potuto consultare in copia grazie alla cortesia
del Dottor Roberto Montisci, Direttore dei Servizi Cimiteriali del
Comune di Cagliari, e in passato già letto e pubblicato da
Oliviero Maccioni, nel suo Cagliari fra cronaca e immagini, riferisce
in modo esplicito che a quella data il corpo del Martini non si
trovava collocato nel luogo dove lo abbiamo ritrovato al momento
della recentissima riesumazione, bensì all’interno di una
non meglio precisata stanza sigillata, all’interno del Cimitero
monumentale.
La Guida al Cimitero dello Spano, del 1869 ricorda che a quella
data Pietro Martini si trovava collocato nella cappella destra dell’Oratorio,
nel terrazzo di fronte alla chiesa, luogo nel quale era ricordato
con onore da parte dei suoi concittadini.Questo in perfetta aderenza
con quanto riportato nel verbale del 1871, dove si afferma che il
corpo del Martini si trovava conservato in una stanza chiusa.
Ma un altro dato ricordato nel Verbale deve far riflettere per la
sua importanza ed è relativo alle operazioni eseguite dopo
il riconoscimento della salma. In esso non si fa cenno a una cassa
in cui il Martini si trovava precedentemente conservato, ma riferisce
dei testimoni che entrano nella stanza e lì trovano il corpo
pietrificato dello storico. Solo al termine delle operazioni di
riconoscimento il cadavere venne chiuso all’interno di una cassa
lignea, peraltro non interamente zincata.
Un cadavere in piena esposizione, parrebbe e tutto ciò potrebbe
trovare corrispondenza con quanto scritto da Felice Uda sul “Corriere
di Sardegna”, il quale raccontava che lo stesso Efisio Marini, nel
breve periodo fra la morte del Martini (17 febbraio 1866) e le polemiche
seguite alla diffusione della foto del pietrificato, scattata da
Agostino Lay Rodriguez (settembre dello stesso anno), era solito
condurre gruppi anche di trenta persone di fronte al corpo del Martini,
il quale, è probabile, doveva trovarsi esposto non al chiuso
di una cassa, bensì pienamente visibile e comunque protetto
dal fatto di trovarsi all’interno di una stanza sigillata e visitabile
attraverso le opportune autorizzazioni.
Solo a partire dall’11 settembre 1871, dunque, il corpo del Martini
venne conservato all’interno di una cassa, la quale, tuttavia continuò
a rimanere nella cappella.
Ma qualcosa accadde negli anni successivi, quando ormai da tempo
Efisio Marini viveva lontano dalla sua città matrigna, risentito
nei confronti delle autorità locali e da queste parimenti
ricambiato di sentimenti poco benevoli.
Nel 1898 Efisio Marini scriveva da Napoli una vigorosa lettera di
rimprovero al Sindaco di Cagliari, Ottone Bacaredda, mostrandogli
la sua contrarietà per il trasferimento della salma del Martini
dalla cappella a un anonimo loculo in altra sezione del Cimitero,
operazione decisa con una delibera del Consiglio Comunale fin dal
1894 e messa in pratica in quell’anno 1898, senza averlo preventivamente
consultato.
Anche per questo motivo il Marini si era rifiutato di assistere
a quanto disposto dal Comune di Cagliari riguardo alla salma. Col
suo intervento lo scienziato temeva di avallare, anche implicitamente
una deliberazione presa senza il suo parere.
Lo scienziato era ormai portato a pensare che nella nuova sistemazione
si voleva chiudere l’ultimo “molesto ricordo degli avvenimenti del
1887”, con riferimento al fallimento dell’istituto di credito incaricato
di amministrare i fondi raccolti per la costruzione del monumento
al Martini, fallimento avvenuto in quell’anno, e non riusciva a
credere “che così dovesse finire il cadavere di tanto uomo”.
Bacaredda gli rispose aspramente, ribattendo punto per punto alle
affermazioni del Marini.
Innanzitutto il Sindaco di Cagliari affermava che il trasferimento
della salma, era stata decisa insieme con l’erede del Martini, che
ne aveva fatto istanza, e il Consiglio Comunale aveva coerentemente
provveduto con un’apposita delibera nel 1894.
Inoltre il Marini era stato informato, con una lettera dell’1 marzo
1895 della decisione presa ma ancora da porre in esecuzione.
Bacaredda insisteva quindi nel dire che era indecoroso lasciare
i resti del Martini in un luogo a suo parere male adatto, senza
un segno visibile che lo ricordasse ai cittadini.
La conservazione della salma nella cappella dell’oratorio, d’altronde,
era una sistemazione assolutamente provvisoria ed era stata decisa
d’accordo con il Marini per agevolare i definitivi lavori di pietrificazione
del cadavere.
Bacaredda concludeva affermando che la nuova sistemazione sarebbe
stata più decorosa e, finalmente, stabile, per un personaggio
tanto insigne.
Le argomentazioni esposte dal Sindaco, tuttavia, non dovettero dimostrarsi
troppo convincenti; difatti sempre Marini scrisse, nei mesi successivi,
altre lettere per chiarire la sua posizione e le sue preoccupazioni
nei confronti della salma del Martini, paventando i danni che si
sarebbero potuti facilmente verificare collocando la cassa in un
luogo meno protetto rispetto a una cappella chiusa e sigillata,
come in effetti si rivelerà la nuova sede: un loculo all’aria
aperta, estremamente esposto agli agenti atmosferici.
Alla luce dei fatti recenti, dopo aver constatato i risultati dello
spostamento della salma, è ormai tristemente chiaro che i
rimproveri del Marini a Ottone Bacaredda non erano stati senza motivo.
Vi è da riflettere, alla fine di questa ricerca, su una triste
costante nell’amministrazione civica cagliaritana e, più
in generale sulle capacità amministrative del ceto dirigente
sardo nei confronti dei propri beni, della propria storia e, in
definitiva della propria identità.
Dalle vicende archeologiche e monumentali di Oristano (distruzione
delle torri e delle mura perché “di non rilevante interesse
culturale”) e di Cagliari (la città medioevale di Santa Igia
si può lasciare sotto la spazzatura “perché sotto
di essa si conserva meglio”), passando per le distruzioni del quartiere
cagliaritano di Stampace o di Tuvixeddu, fino alla triste vicenda
del ripascimento della spiaggia del Poetto, sempre a Cagliari, per
concludere, almeno provvisoriamente, con lo scandalo della tomba
di Pietro Martini, si presenta l’immagine di un popolo ancora arretrato
culturalmente e poco sensibile verso la propria storia, governato,
coerentemente, da un gruppo di amministratori che ha brillato più
per la cronica incapacità di trovare soluzioni ai problemi
di interesse generale e per la sterile polemica fine a sé
stessa che per una politica alta, veramente degna di questo nome.
In definitiva, un ceto dirigente composto da incapaci, e la vicenda
della salma di Pietro Martini non fa che confermare tale stato di
fatto.
Per ironia della sorte, nello stesso muro dove venne conservato
Pietro Martini, anni dopo sarà tumulato lo stesso Bacaredda
e le condizioni della cassa e della salma non dovrebbero essere
troppo differenti, oggi, da quelle constatate per il povero erudito
cagliaritano.
Con poca consolazione per tutti.
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