LA TRAVAGLIATA VICENDA DELLA SALMA PIETRIFICATA
DI PIETRO MARTINI
All’indomani del 27 febbraio
2006, data della riesumazione della salma del Cavalier Pietro Martini, pietrificata
dal medico Efisio Marini subito dopo la morte (17 febbraio 1866)), dopo aver
constatato con rammarico, non privo di un certo sconcerto, i danni irreparabili
prodottisi sul corpo dell’illustre pietrificato, i dubbi e le domande si sono
immediatamente rincorsi sulle cause che hanno concorso a provocare lo sfascio
e il degrado del quale siamo stati tristi testimoni insieme al Dottor Antonio
Maccioni e agli altri studiosi intervenuti alla riesumazione.
Come è stato possibile che
una salma ottimamente conservata fino agli inizi del ventesimo secolo potesse
aver subito un simile deterioramento? E soprattutto, qual era stata la storia
della salma, della sua conservazione e della sua collocazione, a partire dal
1866 fino ai giorni nostri? Alla luce delle recenti ricerche molti particolari,
inizialmente poco chiari rispetto a quanto si conosceva, trovano oggi alcune
importanti spiegazioni, che si possono riassumere e interpretare in questo
breve testo.
Saranno per questo considerati
qui alcuni punti fermi sull’intera vicenda, vale a dire la polemica epistolare
fra il Sindaco Ottone Bacaredda ed Efisio Marini, la documentazione ufficiale
oggi disponibile e i risultati dell’ispezione del 2006.
Innanzitutto vi è da chiedersi
come mai la salma di Pietro Martini non continuò ad avere la sua originaria
collocazione nella cappella dell’Oratorio del Cimitero Monumentale di Bonaria
per essere spostata in un anonimo colombario, esposta all’azione diretta degli
agenti atmosferici per centootto anni. Perché, e questo va detto come osservazione
preliminare, la deposizione della salma in tale sito ha pregiudicato irreparabilmente
il lavoro di conservazione di Efisio Marini.
Il Verbale della ricognizione
sulla salma, effettuata l’11 settembre 1871, alla presenza fra gli altri,
del fratello di Efisio Marini, Salvatore, e di Agostino Lay Rodriguez, che
fotografò il cadavere pietrificato
[1]
è un punto di partenza per studiare gli anni successivi
alla morte e alla pietrificazione dell’illustre studioso.
Il Verbale riferisce che a
quella data il corpo del Martini non si trovava collocato nel luogo dove è
stato ritrovato al momento della recentissima riesumazione, bensì all’interno
di una non meglio precisata stanza sigillata, all’interno del Cimitero monumentale.
Esaminando le fonti che descrivono
il Cimitero di Bonaria nella situazione degli anni in cui si svolsero i fatti
narrati dalle fonti dell’epoca, la Guida al Cimitero dello Spano, del 1869
[2]
, ricorda che a quella data Pietro Martini si trovava collocato
nella cappella destra dell’Oratorio, nel terrazzo di fronte alla chiesa, luogo
nel quale era ricordato con onore da parte dei suoi concittadini:
“Monumenti del terrazzo o atrio avanti alla Chiesa. La porta destra che fiancheggia l’Oratorio è chiusa e sigillata, perché dentro si conserva la salma di Pietro Martini dal giorno che morì, 17 febbraio 1866, sottoposta alle preparazioni del prof. Ef. Marini, onde ridurre il corpo allo stato lapideo, cioè per pietrificarlo. Sopra la porta vi era la seguente iscrizione temporaria che, per esser sulla tela si tiene conservata, e solamente vi si colloca nelle solennità. Credo opportuno di qui riportarla almeno per memoria di quell’illustre storico e rimpianto cittadino fino a che sorga il degno e magnifico monumento colla debita iscrizione, che la commissione a ciò instituita gli ha consacrata a nome della patria.
IMMUNI
DALLA CONSUETA CORRUZIONE
DEI
MORTALI
STANNO
GLI ULTIMI AVANZI DELLO STORICO
PIETRO
MARTINI
ACCOSTATEVI
A QUESTO LUOGO CON AMMIRAZIONE
E
RISPETTO
POICHÉ
ESSE DIRANNO
[3]
DUE COSE GRANDI EGUALMENTE
LA
GLORIA E LA MORTE”
[4]
Tutto in perfetta aderenza
con quanto riportato nel verbale del 1871, dove si afferma testualmente che
il corpo del Martini si trovava conservato in una stanza chiusa:
“Avanti di procedere all’apertura
della stanza ove assicurassi trovarsi depositato il cadavere, cioè data lettura
dell’ultima verifica sullo stato dell’indicato cadavere e riconosciuta da
tutti i presenti l’integrità delle serrature e dei sigilli, mancando solo
in questi ultimi l’impronta scomparsa per il calore del sole e non essendovi
elevato richiamo o fatta osservazione veruna, si divenne all’apertura della
porta d’ingresso della stanza menzionata. ”
[5]
Ma un altro dato ricordato
nel Verbale deve far riflettere per la sua importanza ed è relativo alle operazioni
eseguite dopo il riconoscimento della salma:
“Dietro ciò lo stesso cadavere,
sempre alla presenza di tutti gli astanti, viene deposto in una cassa di legno
foderata internamente, tranne che nel coperchio, di zinco. La cassa è, indi,
chiusa a doppia chiave, con due lucchetti, delle quali una si consegna al
suddetto signor Salvatore Marini e l’altra la ritiene il signor Sindaco. Inoltre
si appongono i sigilli aventi l’impronta in ceralacca e la cassa così chiusa
e sigillata, si conserva nella medesima stanza ov’era depositato il cadavere”
[6]
.
Non si parla, dunque, di una
cassa in cui il Martini si trovava precedentemente conservato, ma di testimoni che entrano nella stanza e lì trovano
il corpo pietrificato dello storico. Solo al termine delle operazioni di riconoscimento
il cadavere venne chiuso all’interno di una cassa lignea, peraltro non interamente
zincata.
Un cadavere in piena esposizione,
parrebbe.
Tutto ciò pare trovare una
coerente corrispondenza con quanto scritto da Felice Uda sul “Corriere di
Sardegna”, il quale raccontava che lo stesso Efisio Marini, nel breve periodo
fra la morte del Martini (17 febbraio 1866) e le polemiche seguite alla diffusione
della foto del pietrificato, scattata da Agostino Lay Rodriguez (settembre
dello stesso anno), era solito condurre gruppi anche di trenta persone di
fronte al corpo del Martini, il quale, è probabile, doveva trovarsi esposto
non al chiuso di una cassa, bensì pienamente visibile e comunque protetto
dal fatto di trovarsi all’interno di una stanza sigillata e visitabile attraverso
le opportune autorizzazioni. Uda è piuttosto esplicito riguardo a una simile
consuetudine:
“…il commendatore Martini sta
ottimamente: è fresco e saldo come un pesce e sembra dire: Venitemi a trovare
che discorreremo. Marini, interprete del suo desiderio, prendeva i cagliaritani
a dieci e venti, a trenta per volta, e li portava in cimitero a conversare
col morto”
[7]
.
Nella cappella a sinistra dello
stesso oratorio, invece, erano conservate le salme degli arcivescovi cagliaritani,
una esposizione quasi in contrapposizione fra una reliquia laica e le reliquie
religiose.
Solo a partire dall’11 settembre
1871, dunque, il corpo del Martini venne conservato all’interno di una cassa,
la quale, tuttavia continuò a rimanere nella cappella.
Ma qualcosa accadde negli anni
successivi, quando ormai da tempo Efisio Marini viveva lontano dalla sua città
matrigna, risentito nei confronti delle autorità locali e da queste parimenti
ricambiato di sentimenti poco benevoli.
Nell’agosto del 1894 una delibera
del Comune di Cagliari, presa su istanza dell’erede di Pietro Martini, dispose
di tumulare la salma dello studioso in un luogo più conveniente
[8]
. Con la delibera, approvata definitivamente il 13 settembre
dello stesso anno, si disponeva che la salma “venga per ora trasportata in
uno dei colombari di nuova costruzione nel cimitero o altro a provvedersi
in avvenire, perché in modo più degno sia ricordata la memoria del benemerito
cittadino”
[9]
.
Sembra di capire, dalle motivazioni
date, che il colombario in cui fu deposto Pietro Martini non fosse ritenuto
del tutto degno o idoneo ad onorarne la memoria, se già si pensava, in avvenire,
di spostarlo in qualche altro luogo.
Alcuni consiglieri comunali,
del resto, si esprimevano proprio in questo senso, come il Melis, il quale
proponeva che “sin d’ora pur trasportandone provvisoriamente la salma in un
colombario, il Consiglio si pronunci perché a suo tempo gli sia eretto un
degno ricordo”
[10]
.
Si rifletta fin d’ora sul fatto
che si era presa una decisione assolutamente temporanea: il loculo nel colombario
comunale non avrebbe dovuto essere l’ultima dimora per la salma del pietrificato.
Sul periodo intercorrente fra
la decisione e la messa in atto della stessa passarono quasi tre anni, durante
i quali non abbiamo documentazione ulteriore sugli avvenimenti collegati alla
delibera. Possiamo però ricostruirli mettendo a confronto le posizioni del
Bacaredda e del Marini, così come emergono dal loro epistolario pubblico,
sulle pagine del quotidiano “L’Unione Sarda”.
Nel 1898 Efisio Marini, già
seriamente malato, scriveva una vigorosa lettera di rimprovero al Sindaco
di Cagliari, Ottone Bacaredda, mostrandogli la sua contrarietà per il trasferimento
della salma del Martini dalla cappella a un anonimo loculo in altra sezione
del Cimitero, operazione decisa, come visto, con la delibera del Consiglio
Comunale del 1894, senza averlo preventivamente consultato e, secondo quanto
erroneamente ritenuto dal pietrificatore, senza il consenso dei familiari
del Martini
[11]
.
Anche per questo motivo il
Marini si era rifiutato di assistere a quanto disposto dal Comune di Cagliari
riguardo alla salma. Col suo intervento lo scienziato temeva di avallare,
anche implicitamente una deliberazione presa senza il suo parere.
Ma lo scienziato era ormai
portato a pensare che nella nuova sistemazione si voleva chiudere l’ultimo
“molesto ricordo degli avvenimenti del 1887”
[12]
, con riferimento al fallimento dell’istituto di credito
incaricato di amministrare i fondi raccolti per la costruzione del monumento
al Martini, fallimento avvenuto in quell’anno, e non riusciva a credere “che
così dovesse finire il cadavere di tanto uomo”
[13]
.
Chiudeva la sua lettera con
una lamentazione accorata: “Povero paese in cui i vivi si lacerano – e questo
è il rispetto per la memoria di quelli che lo onorano”
[14]
.
Bacaredda, dopo sole ventiquattr’ore,
gli rispose aspramente, sempre sulle pagine de “L’Unione Sarda”, ribattendo
punto per punto alle affermazioni del Marini
[15]
.
Innanzitutto il Sindaco di
Cagliari affermava che il trasferimento della salma, “dallo stambugio, dove
si trova da ben trentadue anni confinata, ad un colombario di 1.a classe”
[16]
era stata decisa insieme con l’erede del Martini, che ne
aveva fatto istanza, e il Consiglio Comunale aveva coerentemente provveduto
con l’apposita delibera del 1894.
Inoltre il Marini era stato
informato da tempo, con una lettera dell’1 marzo 1895 della decisione presa
ma ancora da porre in esecuzione.
Bacaredda insisteva quindi
nel dire che era “indecoroso che i resti di tanto uomo rimanessero ulteriormente
confinati in luogo male adatto, entro un cassone purchessia, senza un segno
visibile che lo ricordasse ai cittadini”
[17]
. La lettera del Sindaco, così, ci informa, in modo implicito,
di come si trovava conservato il corpo del Martini fino al 1898. Sempre il
Sindaco sosteneva che la conservazione della salma nella cappella dell’oratorio
era una sistemazione assolutamente provvisoria ed era stata decisa “d’accordo
con V. S. per agevolare i definitivi lavori di pietrificazione del cadavere”
[18]
.
Secondo Bacaredda, dunque la
salma necessitava, anche anni dopo la sua pietrificazione, di ulteriori e
definitivi trattamenti, motivo per cui essa rimase collocata nella cappella.
Ma dall’esame della lettera
scritta da Bacaredda si vengono a rivelare ulteriori particolari assai interessanti
sempre relativi alla conservazione della salma. Tale conservazione, infatti,
sempre a detta di Bacaredda, doveva essere periodicamente verificata e il
corpo doveva essere trattato con i preparati del Marini, fino ad arrivare
a una definitiva conservazione lapidea. Eppure il Sindaco di Cagliari rimproverava
il Marini di non aver più voluto lasciare indicazioni, a partire dal 1895,
su come proseguire il trattamento di pietrificazione:
“dal marzo 1895 ad oggi, se
V. S. ha trovato modo di manifestare replicatamente il dispiacere di non veder
sorgere il monumento a Pietro Martini, si astenne dal comunicare qualunque
disegno o desiderio in ordine ad ulteriori lavori di conservazione della salma;
ed anzi sdegnò, come tuttora sdegna, di voler presenziare alla constatazione
delle condizioni presenti della salma medesima”
[19]
.
Nella sua piccata replica Bacaredda
concludeva affermando che la nuova sistemazione sarebbe stata più decorosa
e, finalmente, stabile, per un personaggio tanto insigne:
“Così dunque non finisce il
suo cadavere, come V. S. mostra di credere. Il suo cadavere va a trovare,
invece, più decoroso e meno precario collocamento […] ma dire che sia mancar
di rispetto ad un cittadino illustre il sottrarne la salma all’oscurità più
che trentennale di un umido stambugio, per collocarla in uno dei loculi più
distinti del civico Cimitero, è asserzione troppo leggera, e che non troverà,
io spero, eco nella cittadinanza”
[20]
.
Le argomentazioni esposte dal
Sindaco, tuttavia, oltre che in contraddizione con quanto asserito nella delibera
del 1894, che parlava di soluzione temporanea, non dovettero dimostrarsi troppo
convincenti; difatti, come vedremo, Efisio Marini scrisse, nei mesi successivi,
altre lettere per chiarire la sua posizione e le sue preoccupazioni nei confronti
dell’imminente spostamento della salma del Martini, paventando i danni che
si sarebbero potuti facilmente verificare collocando la cassa in un luogo
meno protetto rispetto a una cappella chiusa e sigillata, come in effetti
si rivelerà la nuova sede: un loculo all’aria aperta, estremamente esposto
agli agenti atmosferici
[21]
. Esso, peraltro era privo di un’adeguata iscrizione commemorativa,
giacché i fondi raccolti dal Comitato per il Monumento a Pietro Martini, come
visto, erano andati perduti nel 1887, nel disastro finanziario della banca
incaricata di amministrarli fin dal lontano 1866. Tutto ciò contribuirà all’aspra
polemica fra lo scienziato e il Sindaco di Cagliari, ma intanto la decisione
di spostare la salma veniva finalmente posta in atto.
Come riporta un breve articolo
pubblicato su “L’Unione Sarda”, il 14 febbraio 1898, alle 11 del mattino avvenne
la traslazione “dalla stanza di deposito ove trovavasi da lunghi anni, nel
colombaio all’uopo assegnato provvisoriamente, in attesa di collocamento adeguato
all’importanza dell’uomo”
[22]
.
Nell’articolo si faceva riferimento
a una precedente constatazione dello stato della salma, avvenuta il 18 dicembre
1882 e si dava per scontato che il trasferimento sarebbe stato del tutto provvisorio
e che il luogo scelto non era esattamente “degno” di accogliere il Martini.
L’ora tarda in cui terminò
la cerimonia non permise di redire un articolo esauriente, per cui sarebbe
stato il giornale del giorno successivo ad entrare nei particolari, fornendo
ulteriori e preziosi dettagli sulla storia della salma.
L’articolo del 15 febbraio
1898, di penna ignota, prima di raccontare la cerimonia di traslazione si
rivela prodigo di informazioni sulla storia della salma del Martini. Innanzitutto
si ricordava come lo storico cagliaritano era morto il 17 febbraio 1866 e
subito dopo, il 19 febbraio, a poco più di 24 ore dal decesso, Efisio Marini
lo aveva pietrificato col suo procedimento segreto, per poi comporlo in una
cassa e custodirlo dentro la cappella dell’Oratorio, nel Cimitero di Bonaria.
L’operazione di pietrificazione era stata compiuta in tempi rapidissimi proprio
per evitare i danni di una rapida corruzione del corpo.
Come sappiamo, vi erano state
alcune riesumazioni della salma, negli anni successivi. Un’ulteriore riesumazione
venne però richiesta al Sindaco di Cagliari, Salvatore Marcello, dallo stesso
Efisio Marini, che voleva constatare le condizioni della salma a 16 anni dalla
sua pietrificazione.
L’articolista pubblicava il
verbale integrale della riesumazione del 1882, che fornisce, ancora una volta,
preziosi particolari sulla salma, la sua conservazione e il luogo dove si
trovava.
Una volta raggiunta la cappella
dell’Oratorio si procedette alla verifica dello stato della cassa in legno
ove riposava la salma e all’ispezione dei sigilli. Quindi, procedutosi al
disigillamento, la cassa venne aperta e al suo interno si riconobbe “il cadavere
integro e benissimo conservato allo stato coriaceo, con cui era stato preparato,
e riconoscibile, ricordando tutti gli astanti i suoi caratteristici lineamenti”
[23]
. Dopo tale verifica la salma veniva coperta di una tela
bianca e richiusa nella cassa.
Il verbale del 1882 può essere
confrontato con quello precedente, del 1871, e con quello compilato al termine
della traslazione del 1898, anch’esso riportato dall’articolista.
Le operazioni di traslazione
erano cominciate con la lettura del verbale del 1882 e, successivamente, con
l’ispezione del luogo ove trovavasi la salma. Essa era sempre conservata nella
cappella dell’Oratorio, in una cassa posta su due infissi di legno, all’altezza
di due metri e mezzo dal suolo. Aperta la cassa, “sotto un drappo di tela
bianca, fu ritrovato un cadavere in stato coriaceo, ancora molto bene conservato,
salvo in alcune sue parti”
[24]
, che fu riconosciuto da tutti come quello del cavalier
Pietro Martini.
A questo punto si ritrovano
molti dei particolari poi puntualmente riscontrati al momento dell’ispezione
del 2006, per cui è utile riportare integralmente il contenuto del verbale
di traslazione:
“La stessa salma avvolta in
un lenzuolo e ricoperta dello stesso drappo di tela ritrovato nella primitiva
cassa fu composta in un’altra cassa
di legno noce portante una targhetta in ottone colla scritta – Pietro Martini – e munita di una apertura
a cristallo, che permette la visione della testa del cadavere. Nella stessa
cassa furono collocate diligentemente tre boccette di vetro avvolte in carta
colle scritte: A. B. l’una; B. S. l’altra e la terza senza scritta
di sorta, nonché un pennellino di setola bianca ed un piccolo bicchiere di
vetro bianco. Alcuni residui sotto forma di terriccio esistenti ed attaccati
al fondo della prima cassa, furono del pari diligentemente raccolti in un
piccolo vaso di vetro avvolto in corda colla scritta indicativa. Il tutto
depositato nella cassa di noce di cui sopra, venne la medesima ermeticamente
chiusa a viti d’ottone ed a braccio dei pompieri municipali trasportata, seguita
dai presenti al loculo N° 7 serie 11, ordine 4 di questo civico Cimitero e
murato in presenza dei sottoscritti il loculo medesimo”
[25]
.
Come si vedrà nell’intervento
del Dottor Antonio Maccioni, si tratta della medesima situazione riscontrata
con l’ispezione del febbraio 2006, a parte, ovviamente, le disastrose condizioni
di conservazione della salma.
Intanto, non appena saputo
della definitiva traslazione, a distanza di soli quattro giorni dal resoconto
pubblicato su “L’Unione Sarda”, Efisio Marini inviò una lettera allo stesso
quotidiano per esprimere le sue considerazioni sull’avvenimento e per ribattere
alla precedente lettera di Ottone Bacaredda, che tanto doveva averlo indisposto,
per le accuse di leggerezza mossegli dal Sindaco
[26]
.
Marini, coniugando sottili
ma impietosi strumenti retorici alla citazione di documentazione ufficiale
e circostanziata, smontava di fatto l’intero castello di osservazioni costruito
dal Sindaco Bacaredda nella sua precedente lettera. Il tentativo era lodevole
ma avrebbe portato a una pronta e piccata risposta dello stesso Bacaredda
e all’inasprirsi ulteriore della polemica fra i due.
Con la sua lettera Marini si
sentiva obbligato a replicare alle affermazioni su una sua presunta leggerezza
nell’affrontare le vicende della salma del Martini. Il pietrificatore era
stato quasi accusato dal Bacaredda di non aver agevolato i definitivi lavori
di pietrificazione e di non aver comunicato nulla di particolare sulla conservazione
futura della salma; inoltre gli si rimproverava di non aver voluto assistere
ad altre eventuali ricognizioni sulla salma.
Secondo Marini le parole del
Sindaco potevano essere interpretate in maniera ancor più dura:
“che io me ne andai in continente
abbandonando a mezzo la preparazione del cadavere, che mi son sempre rifiutato
di assistere, o far assistere qualche mio rappresentante, all’accertamento
dello stato veramente deplorevole cui le mie ubbie sui sistemi di conservazione
avevano ridotto il cadavere”
[27]
.
Marini ricordava invece come
le relazioni ufficiali del tempo asserivano che il cadavere era stato perfettamente
conservato. Un anno dopo la morte del Martini, inoltre, come sempre ricordava
il pietrificatore, il cadavere venne portato “allo stato coriaceo – riducibile
in qualunque tempo allo stato di freschezza naturale – e con ciò il mio compito
era finito”
[28]
.
Vale a dire che il pietrificatore
non si sentiva altre responsabilità sulla salma, dopo averne completato l’intera
preparazione. Gli altri problemi li avrebbe dovuti risolvere l’istituzione
comunale.
Dopo di che Marini ricordava
che i tre verbali ufficiali delle ricognizioni del 1868, 1871 e 1882, erano
regolarmente in possesso del Comune cagliaritano, per trovare conferma delle
sue parole; in ogni caso egli stesso ne possedeva duplice copia di ognuno,
per opportuni confronti.
In particolare, con la ricognizione
del 1871, Marini aveva consegnato definitivamente il corpo del Martini al
Comune di Cagliari, concludendo così tutte le operazioni relative alla pietrificazione
e conservazione.
Piuttosto, Marini tornò a Cagliari
nel 1882, con l’intenzione di sbrigare alcuni affari personali. Nell’occasione,
come sempre ricorda il pietrificatore, lui in persona (ille ego) prese la decisione di condurre
una nuova ispezione, che abbiamo visto documentata nel verbale del 1882. Come
incalzava sempre Marini, dove mai si vede un suo disinteresse o sdegno nei
confronti della salma e della sua conservazione?
Il pietrificatore coglieva
l’occasione per portare al Bacaredda una stoccata sotto forma di domanda retorica:
“E dopo tutto ciò mi permetta
di chiederle, perché proprio ne ho il diritto, anzi il dovere, a tutela del
mio decoro: come ha potuto la S. V. affermare cose così completamente contrarie
al vero, smentite da pubblici documenti?”
[29]
.
Per tali motivi egli non intendeva
consacrare con la sua presenza, quasi una complicità, un atto che lo ripugnava
profondamente.
Insomma, per Marini lo spostamento
del corpo di Pietro Martini era un atto grave, per giunta se da un lato si
voleva porre fine alla provvisorietà della sua sistemazione nella cappella
dell’Oratorio, dall’altro si instaurava un’altra provvisorietà, ben più grave
della precedente e, per giunta, poco dignitosa:
“Ma mi pare uno strano modo
di cangiare una provvisorietà in un’altra, che viceversa è quanto vi può essere
di più definitivo. Preparato il cadavere del Martini, ne veniva per conseguenza,
che esso dovesse essere in tale posizione da potere in qualunque momento essere
visibile. Se era per cacciarlo in un colombaio, la preparazione era inutile”
[30]
.
E ancora ricordava le parole
del Vivanet, nella sua biografia di Pietro Martini, che conteneva proprio
la foto scattata da Agostino Lay Rodriguez
[31]
:
“Il Martini, per quanto io
ricordo, era in una stanza a fianco alla cappella del Cimitero. Il Vivanet
a p. 81 del suo bel libro su Pietro Martini, nella nota 16 così scrive: “Finché non avrà stanza migliore, esso (cadavere)
resterà depositato nel luogo dipinto con sì vivi colori dall’illustre poeta
e letterato Regaldi”. Io non so se questo sia proprio quello stesso locale,
che Ella, letterato esimio, qualifica per stambugio. Ma sia pure! Il colombaio, anche
se di primissima classe, non parmi quella stanza migliore a cui allude il Vivanet”
[32]
.
La lettera del Marini si faceva
a questo punto più tagliente nei confronti del Bacaredda e della decisione
di spostare la salma; il pietrificatore illustrava i perché della gravità
della decisione e non perdeva l’occasione di proporre paragoni con casi simili
trattati in ben diversa maniera:
“Martini, nel cassone purchessia
e in uno stambugio, è solo: nessuno pagando può avere un simile stambugio.
Io non pretendo che si faccia un famedio per coloro che hanno illustrato la
patria nelle scienze o nel Consiglio comunale (notare il sottile sarcasmo
nei confronti delle glorie del Sindaco, NdT), che si tenga la salma del Martini
come il Municipio di Milano tiene la salma del Manzoni (altro sarcasmo nei
confronti del Comune di Cagliari che si differenzia in negativo con Milano,
NdT) […]. Non occorre il fasto per mostrare la reverente venerazione pei morti.
Basta la cassa di metallo sormontata da un cristallo ovale, che mi si riferisce
sia stata recentemente preparata da cotesto municipio, purché naturalmente
sia custodita da un’altra cassa di legno. A questo modo è conservata la salma
del Manzoni e così sono pur conservate le molte che io ho preparate”
[33]
.
Importante, in questo passo,
osservare alcuni particolari procedimenti utilizzati dal Marini per la conservazione
delle salme e la loro ispezione in momenti successivi: doppia cassa in legno
e cristallo all’altezza del viso, tutto però conservato in un luogo adatto,
al riparo soprattutto dagli agenti atmosferici.
Il pietrificatore concludeva
la sua aspra lettera con una dichiarazione di correttezza etica e, insieme,
di scuse per i toni da lui usati, che potevano far pensare a superbia:
“Non tema, no, illustre sig.
commendatore; quando sul serio si vorrà onorare una delle nostre vere glorie
(notare come si calchi sull’espressione “sul serio” e sulle “vere glorie”,
opposte forse a quelle vantate dal Bacaredda, NdT), Efisio Marini non si tirerà
indietro. Capisco che potrà parere superbia quella di non accettare il modo
di vedere del Consiglio comunale sul modo di onorare Pietro Martini: ma spero
che le ragioni da me addotte sieno tali da far scomparire questa parvenza,
e proprio troveranno nella cittadinanza intelligente quell’eco che la S. V.
spera non risponda alla mia voce. E questa mia è l’ultima e definitiva parola
sull’incresciosa questione”
[34]
.
Con la durissima presa di posizione
finale nei confronti del Bacaredda, Marini si augurava di non dover più tornare
sulla vicenda della salma di Pietro Martini.
Così non sarebbe stato, dal
momento che il Sindaco decise di replicare alle accuse mossegli, attraverso
una nuova lettera, se possibile ancora più aspra delle precedenti.
La lettera scritta dal Sindaco
e pubblicata su “L’Unione Sarda” del 23 febbraio 1898, si rivela anch’essa
ricca di notizie interessanti
[35]
.
Secondo Bacaredda non esisteva
in Comune alcun documento che dimostrasse che i lavori di pietrificazione
del Martini fossero conclusi, come non vi era traccia dell’avvenuta consegna
della stessa al Comune. Per questo la sua Giunta non poteva far riferimento
a iniziative precedenti a lei sconosciute e soprattutto, il Sindaco non poteva
che far riferimento a quanto da lui conosciuto sulla base della documentazione
esistente. Se i documenti citati dal Marini fossero esistiti, allora il pietrificatore
avrebbe dovuto comunicarlo al Sindaco, magari rispondendo a una lettera spedita
dallo stesso Bacaredda in data 1 marzo 1895, protocollo n° 1460, con la quale
si informava Efisio Marini della Delibera per la traslazione della salma pietrificata.
Lo stesso Bacaredda aveva scritto
anche per avere conferma di poter agire di comune accordo col pietrificatore.
E così era sembrato dovesse accadere, come rivela una lettera di risposta
del Marini al Sindaco, che lo stesso Bacaredda allega puntualmente al suo
scritto. Così rispondeva Marini da Napoli il 14 aprile 1895:
“Ringrazio sentitamente la
S. V. Ill.ma del gentile avviso. Ma non posso nascondere un certo senso di
dispiacere… A mio parere l’istanza dell’erede ed esecutore testamentario non
risponde ai giusti e patriottici desiderii del popolo sardo, che, se non erro,
apriva anni fa la sottoscrizione per un monumento; ed un troppo modesto ed
oscuro colombario che sottraesse alla vista del pubblico quella salma veneranda,
potrebbe attirarci le censure degli altri italiani; che hanno sempre pronto
il disprezzo e l’insulto per la nostra isola sfortunata. Non vorrei si credesse
che io faccia delle lagnanze perché la città natale, cui opinava affidare
il mio piccolo museo, tenga in poco conto la conservazione di quel cadavere,
la quale segna il punto di partenza delle mie scoperte sui diversi sistemi
[36]
: mi muove soltanto a parlare così un intenso amore per
il paese. Sicuro intanto che vorrà favorevolmente interpretare queste considerazioni,
rinnovo i più sentiti ringraziamenti per la cortese partecipazione, e mi dichiaro
con ossequio
Suo
Dev.mo
Dopo aver riprodotto la lettera
del Marini, il Sindaco osservava che da essa, oltre a trasparire l’amore per
il paese e per il popolo sardo, oltre che per il Municipio cagliaritano, non
si faceva alcun riferimento ai pubblici documenti “in nome dei quali V. S.
ora si scalmana”
[37]
. Invece come sosteneva ancora Bacaredda, Marini aveva preferito
non sbottonarsi sull’iniziativa e aveva preferito fare “l’indiano”, nonostante
una successiva lettera del 15 dicembre 1897, protocollo n° 11335, con la quale
si invitava il pietrificatore a presenziare alla traslazione della salma di
Martini, che sarebbe avvenuta quarantacinque giorni dopo.
Pure in quella occasione Marini
non aveva dato risposta e ci volle un’ulteriore lettera, stavolta raccomandata
e con ricevuta di ritorno, perché egli, come osserva sarcasticamente Bacaredda,
“rompesse l’alto sonno nella testa”
[38]
. A quel punto Marini era finalmente intervenuto con la
già esaminata lettera del 19 gennaio 1898, in cui se la prendeva contro la
sua città matrigna, che non aveva dato a Pietro Martini il tanto agognato
monumento funebre. Secondo Bacaredda Marini aveva implicitamente dato le colpe
all’amministrazione comunale, che non avrebbe saputo arginare il fallimento,
nel 1887, dell’istituto di credito che aveva conservato i soldi per il monumento.
Di questo fatto, naturalmente, Ottone Bacaredda rivendicava la sua totale
estraneità.
Sempre secondo il Sindaco,
tutto il polverone suscitato dal Marini era inutile, giacché non era lontano
il giorno in cui sarebbe realizzato un decoroso famedio in cui raccogliere
i resti di tutti i cagliaritani illustri.
Per la verità, quel giorno
Cagliari lo sta ancora aspettando da oltre un secolo, ma nel frattempo le
cose dell’amministrazione cittadina sono andate come sono andate; ad ogni
modo Bacaredda proseguiva la sua lettera rimproverando ancora il pietrificatore,
per aver perso l’occasione di consolidare la sua fama in una grande cerimonia
pubblica con la quale si sarebbe effettuata la traslazione della salma del
Martini. Qui, per la verità, Bacaredda sembra contraddirsi ancora una volta,
dal momento che la cerimonia di traslazione fu in realtà assai semplice e
riservata a pochi partecipanti, senza il concorso della cittadinanza, che
forse difficilmente si sarebbe potuta spiegare il trasferimento della gloria
cittadina da una cappella cimiteriale a un anonimo loculo nel nuovo colombario
comunale.
Ma il Sindaco proseguiva nei
suoi rimproveri rinfacciando a Marini di non aver provveduto egli stesso,
anni addietro, a una sistemazione onorevole della salma, collocandolo o facendolo
collocare in un’umile cassa di noce da 78 lire e 50 centesimi, su due pioli
di legno ad un’altezza di due metri e mezzo dal suolo, in una stanza comunque
buia e umida. E come mai, si chiedeva ancora Bacaredda, non aveva dato opportuni
suggerimenti all’amministrazione comunale in tutti quegli anni? In quel caso
allora si, il pietrificatore sarebbe stato dalla parte della ragione nella
polemica creatasi.
“Ma a V. S. non garbava battere
la via maestra. Poteva illuminarci e ci lasciò nell’errore; poteva salvare
il Muratori della Sardegna dall’onta
di un colombario, e non impedì la profanazione; poteva stornare un delitto
e se ne rese complice!”
[39]
.
E Bacaredda concludeva con
una punta di veleno la sua già aspra lettera:
“Né vi è gran male se per parecchi
anni sarà tolto ai suoi cittadini, come V. S. deplora di rammentarne le fattezze. Tanto non le riconoscerebbero”
[40]
.
La dura presa di posizione
di Bacaredda sembrava chiudere definitivamente la polemica, pur fra alcune
contraddizioni mostrate dal Sindaco nella sua vera e propria requisitoria
contro il suo avversario. Invece il 4 marzo 1898, ancora con grande rapidità,
Efisio Marini replicava al Sindaco di Cagliari e lo faceva con vigorosa energia
e mente lucida, nonostante l’età e il fisico malato.
Il pietrificatore si sentiva
in dovere di riprendere la parola contro il Sindaco “pur dolente di abbassarmi
a raccogliere qualcuna fra le tante inurbane volgarità, sparse a piene mani
nella sua poco felice difesa”
[41]
.
Marini chiariva, come prima
cosa, che la consegna della salma al Comune di Cagliari era stata fatta in
modo ufficiale dall’allora Sindaco Roberti, come dimostrava in modo palese
il Verbale della ricognizione del 1871, di cui una copia, come riportato nello
stesso documento, doveva conservarsi nel Municipio di Cagliari. “Ben conservato
ma mal cercato”, come osserva il pietrificatore, al contrario dello zelo mostrato
dal Sindaco nel ricercare la ricevuta del “cassone purchessia” da 78 lire
e 50 centesimi.
In questa occasione Marini
ricordava la sua ottima memoria e la predisposizione a “conservare” qualsiasi
cosa, caratteristiche tornate utili per rispondere adeguatamente al Bacaredda:
“Fortuna che l’abitudine di
conservare mi ha fatto salvare questo documento
decisivo, come mi ha fatto trovare intatta la lettera di quel vero gentiluomo,
non solo di nascita, ma anche di educazione che era il marchese Roberti (notare
ancora una volta il feroce sarcasmo del Marini nei confronti del Bacaredda
N.d.T.)”
[42]
.
Il pietrificatore ribadiva
così, ancora una volta, quali erano i limiti del suo compito di scienziato:
“E dopo ciò, che c’entrava
io più col cadavere? Che altro mi restava da fare? Come preparatore nulla
affatto”
[43]
.
A questo punto Marini si sentiva
in diritto di esprimere la sua libera opinione sull’intera vicenda, così come
dovrebbe essere concesso a tutti, chiarendo esplicitamente che egli non voleva
passare da persona diversa da com’era, al contrario di come lo stava dipingendo
il Sindaco di Cagliari:
“E sebbene ad arte Ella voglia
farmi passare per nemico e denigratore del mio paese, nessuno di quelli che
mi conoscono presterà certo fede a questa che altro non è se non una malizia
o una malignità puerile. Amo la mia città quanto qualunque altro, sebbene
non creda necessario di stamparlo sui giornali. Se dopo il 1895 io non feci
più sentire la mia voce, si è perché non a me spettava parlare, ma a chi aveva
ricevuto la mia lettera, alla quale invano attendo ancora una risposta, sebbene
in essa avessi manifestato il divisamento di far dono al Municipio di Cagliari
del mio piccolo Museo. Ritengo naturalmente che tutto sia finito a questo
proposito, e mi intendo svincolato, prima di tutto, perché il suo modo di
parlare ed il suo modo di tacere per due anni mi persuadono che Ella, nella
sua alta competenza, fa ben poca stima dei miei poveri lavori”
[44]
.
Da queste poche righe riconosciamo
tutta la sofferta personalità del pietrificatore, genio incompreso nella sua
terra matrigna, eppure così innamorato di essa, nella quale aveva sognato
a lungo di tornare come profeta in patria e lontano dalla quale, invece, morirà
dimenticato da tutti o quasi. Il suo museo di preparati pietrificati, visibile
nelle foto di un articolo che sarebbe uscito in Francia proprio nei mesi immediatamente
successivi alla polemica
[45]
, aveva suscitato la totale indifferenza degli amministratori
cagliaritani e da ciò Marini aveva tratto la definitiva conclusione che dalla
sua città natale non avrebbe dovuto più aspettarsi nulla. Non è un caso se
proprio nell’articolo di Luigi Ferrara lo stesso Marini concludeva sconsolatamente
che avrebbe finito per buttare a mare tutti i suoi lavori
[46]
.
Così proseguendo nella sua
amara replica, Marini ricordava di non essere stato assolutamente invitato
per il giorno della traslazione della salma del Martini, data modificata rispetto
alle disposizioni iniziali. A riprova della malafede di Bacaredda egli osserva
che questi
“si sarebbe certo curato di
avvisarmi del giorno nuovamente fissato; tanto più sapendo che presso di me
era una delle due chiavi che chiudevano la cassa. La mancanza di avviso prova
nel modo più evidente che le ragioni addotte non avevano valore di sorta e
che al solito si trattava di chiacchiere. Tengo a sua disposizione la chiavetta
per il caso in cui voglia depositarla nel Museo di Archeologia, come ricordo
ai posteri del modo con cui nel secolo XIX si usava aprire le casse”
[47]
.
Il pietrificatore riportava
poi tutte le lodi ufficiali che la sua scienza aveva riscosso presso la comunità
scientifica internazionale, osservando ferocemente che
“le salme di Benedetto Cairoli
e del Cardinal Sanfelice, stanno ad attestare, che Ella ignora completamente
quali siano i risultati dei miei studi, e che i fatti non si possono distruggere
con un’ordinanza sindacale”
[48]
.
Ancora una volta Marini ricordava
quanto aveva sofferto a causa dell’ostilità mostratagli dalla sua città natale,
ostilità ricordata anche dai giornali internazionali, come la rivista “Les
Mondes”, che già nel 1868 scriveva testualmente:
“D’altro canto, se Marini ha
avuto molto da soffrire per l’opposizione sistematica e per l’incredulità
che ha dovuto riscontrare nella sua città natale, Cagliari, egli è oggi nobilmente
vendicato”
[49]
.
Per concludere, sempre con
una punta di velenosa amarezza:
“Io non credo che nessuno dei
concittadini meriti l’accusa contenuta in queste parole. Certo le merita Lei,
che nella sua condizione di nervosità si è spinto a chiamarmi complice di
un delitto. I miei concittadini sanno che io non son capace di delitti né
volontari né colposi”
[50]
.
Era l’ultimo atto della polemica,
non sarebbero arrivate ulteriori repliche da parte di Ottone Bacaredda, forse
colpito dalla puntigliosa precisione delle ragioni del suo avversario. Fatto
sta che l’intera polemica, soprattutto nelle sue fasi finali, aveva creato
uno spiacevole effetto di quella che oggi chiameremmo “sovraesposizione mediatica”
del Marini, al quale avrebbe forse giovato a un certo momento lasciar perdere.
Bacaredda, d’altronde, era
il Sindaco di Cagliari, stimato e riverito per gli importanti progressi apportati
alla sua città, che sotto il suo governo conobbe un momento di riorganizzazione
urbana e rifioritura culturale. Era di fatto una corazzata imperforabile,
oltre che un bacino di consensi enorme, non solo in città, cosa che lo poneva
in una situazione di forza, rispetto all’ombroso e lontano medico pietrificatore.
Bacaredda, insomma, sapeva di poter sempre avere l’ultima parola in città
e di poter aggiustare a suo favore polemiche e vicende ben più gravi della
seppur importante questione della salma di Pietro Martini. Di lì a poco, inoltre,
Efisio Marini sarebbe morto, quasi dimenticato da tutti e il problema si sarebbe
risolto da sé.
Tuttavia, alla luce dei fatti
recenti, dopo aver constatato i risultati dello spostamento della salma, è
ormai tristemente chiaro che i rimproveri del Marini a Ottone Bacaredda non
erano stati senza motivo. La sistemazione voluta dal Comune di Cagliari si
è rivelata, alla luce dei fatti, una decisione scriteriata, presa con grande
leggerezza e senza tenere conto degli evidentissimi inconvenienti che, per
legge naturale, si sarebbero verificati. La decisione sullo spostamento della
salma potrebbe aver avuto “spinte” non solo da parte dell’erede del Martini
ma anche da parte di chi non apprezzava il fatto che la salma pietrificata,
parziale trionfo della scienza sulla natura, si trovasse accostata alle salme
corrotte degli arcivescovi cagliaritani. Forse, ancora, si pensava realmente
che il loculo nel colombario sarebbe stata una sistemazione provvisoria, eppure
sappiamo molto bene come a Cagliari le situazioni provvisorie si trasformino
facilmente in definitive, dando luogo a problemi maggiori di quelli che si
vorrebbero risolvere. A tutto ciò non giovò l’acuirsi della polemica fra Marini
e Bacaredda, ciascuno fermo sulle sue posizioni e convinto delle proprie ragioni,
per cui a farne le spese fu la salma di Pietro Martini.
Vi è da riflettere, alla fine
di questa ricerca, su una triste costante nell’amministrazione civica cagliaritana
e, più in generale sulle capacità amministrative del ceto dirigente sardo
nei confronti dei propri beni, della propria storia e, in definitiva della
propria identità.
Dalle vicende archeologiche
e monumentali di Oristano (distruzione delle torri e delle mura perché “di
non rilevante interesse culturale”) e di Cagliari (la città medioevale di
Santa Igia si può lasciare sotto la spazzatura “perché sotto di essa si conserva
meglio”), passando per le distruzioni del quartiere cagliaritano di Stampace
o di Tuvixeddu, fino alla triste vicenda del ripascimento della spiaggia del
Poetto, sempre a Cagliari, per concludere, almeno provvisoriamente, con lo
scandalo della tomba di Pietro Martini, si presenta l’immagine di un popolo
sardo ancora poco sensibile verso la propria storia, governato, coerentemente,
da un gruppo di amministratori che ha brillato più per la cronica incapacità
di trovare soluzioni ai problemi di interesse generale e per la sterile polemica
fine a sé stessa che per una politica alta, veramente degna di questo nome.
La vicenda della salma di Pietro Martini non fa che confermare tale stato
di fatto.
Per ironia della sorte, nello
stesso muro dove venne conservato Pietro Martini, anni dopo sarà tumulato
lo stesso Bacaredda e le condizioni della cassa e della salma non dovrebbero
essere troppo differenti, oggi, da quelle constatate per il povero erudito
cagliaritano.
Con poca consolazione per tutti.
[1] Copia del Verbale della riesumazione del cadavere di Pietro Martini, effettuata nel Camposanto di Cagliari l’11 settembre 1871. Ringrazio il Dottor Roberto Montisci, Direttore dei Servizi Cimiteriali del Comune di Cagliari, per avere messo a disposizione copia del documento, in passato già letto e pubblicato da O. MACCIONI, Cagliari fra cronaca e immagini, Cagliari 1982, p. 470.
[2] G. SPANO, Storia e necrologio del Campo Santo di Cagliari, Cagliari 1869, pp. 211-212.
[3] Nella copia della Guida conservata presso la Biblioteca Comunale di Cagliari, di fianco a questo passo una mano ignota ha annotato a matita la seguente correzione: “poiché in esso si hanno”.
[5] Verbale, cit.
[6] Ibidem.
[7] F. UDA, Un grappolo di spropositi sopra la fotografia del Comm. Martini, in “Il Corriere di Sardegna. Giornale Politico – Economico – Commerciale”, martedì 18 settembre 1866, Appendice, pubblicato anche da O. MACCIONI, Cagliari, cit., p. 467. Cfr. anche C. ZEDDA, Profilo storico, in Il Pietrificatore. Efisio Marini: Cagliari 1835 -–Napoli 1900, Catalogo della Mostra, pp. 9-10.
[8] Archivio Comunale di Cagliari – Biblioteca di Studi Sardi, Registri dei Verbali del Consiglio Comunale di Cagliari, 1894 Agosto 31. Ringrazio vivamente il personale della Biblioteca per la grande e appassionata collaborazione nella ricerca della documentazione.
[9] Registri dei Verbali del Consiglio Comunale di Cagliari, cit.
[10] Ibidem.
[11] E. MARINI, (Al Sindaco Bacaredda) per la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, anno X, n° 26, 26 gennaio 1898, p. 2.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem
[14] Ibidem
[15] O. BACAREDDA, (A Efisio Marini) per la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda, anno X, n° 27, 27 gennaio 1898, p. 2.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem
[18] Ibidem
[19] Ibidem
[21] E. MARINI, La salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda, anno X, n° 50, 19 febbraio 1898 e n° 62, 4 marzo 1898.
[22] La salma di Pietro Martini, in L’Unione Sarda”, Anno X, n° 45, 14 febbraio 1898.
[23] La salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, martedì 15 febbraio 1898.
[24] La salma di Pietro Martini, cit.
[25] Ibidem.
[26] E. MARINI, Efisio Marini e la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, sabato 19 febbraio 1898.
[27] E. MARINI, Efisio Marini e la salma di Pietro Martini, cit.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] P. VIVANET, Vita di Pietro Martini, Cagliari 1866.
[32] Ibidem.
[33] Ibidem.
[34] Ibidem.
[35] O. BACAREDDA, Per la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, 23 febbraio 1898.
[36] Si osservi come Marini riteneva che l’esperimento sul cadavere di Pietro Martini fosse il punto di partenza dei suoi esperimenti e che i risultati raggiunti con esso fossero suscettibili di miglioramento, come egli stesso dirà nella lettera indirizzata a Mariano Semola, nel 1884, cfr. E. MARINI, All’Onorevole Commendatore Mariano Semola, Ispettore Sanitario della Croce Bianca. Lettera sulla cura praticata dal Dottor Efisio Marini ai colerosi della Sezione Mercato e Torre Annunziata, Napoli 1884, pp. 2-3.
[37] O. BACAREDDA, Per la salma di Pietro Martini, cit.
[38] Ibidem.
[39] Ibidem.
[41] E. MARINI, Ancora per la salma di Martini, in “L’Unione Sarda”, 4 marzo 1898.
[42] E. MARINI, Ancora sulla salma, cit.
[43] Ibidem.
[44] Ibidem.
[45] Si veda L. FERRARA, La survivance du corps, estratto della “Revue des Revues”, Paris, 1 agosto 1898 (La sopravvivenza del corpo), Traduzione dall’originale in francese di G. BERTORINO.
[46] L. FERRARA, La survivance du corps, pp. 30-31.
[47] Ibidem.
[48] Ibidem.
[49] “Les Mondes”, tome 16, 12 mars 1868.
[50] E. MARINI, Ancora sulla salma, cit.