LA TRAVAGLIATA VICENDA DELLA SALMA PIETRIFICATA

DI PIETRO MARTINI

di Corrado Zedda

 

 

All’indomani del 27 febbraio 2006, data della riesumazione della salma del Cavalier Pietro Martini, pietrificata dal medico Efisio Marini subito dopo la morte (17 febbraio 1866)), dopo aver constatato con rammarico, non privo di un certo sconcerto, i danni irreparabili prodottisi sul corpo dell’illustre pietrificato, i dubbi e le domande si sono immediatamente rincorsi sulle cause che hanno concorso a provocare lo sfascio e il degrado del quale siamo stati tristi testimoni insieme al Dottor Antonio Maccioni e agli altri studiosi intervenuti alla riesumazione.

Come è stato possibile che una salma ottimamente conservata fino agli inizi del ventesimo secolo potesse aver subito un simile deterioramento? E soprattutto, qual era stata la storia della salma, della sua conservazione e della sua collocazione, a partire dal 1866 fino ai giorni nostri? Alla luce delle recenti ricerche molti particolari, inizialmente poco chiari rispetto a quanto si conosceva, trovano oggi alcune importanti spiegazioni, che si possono riassumere e interpretare in questo breve testo.

Saranno per questo considerati qui alcuni punti fermi sull’intera vicenda, vale a dire la polemica epistolare fra il Sindaco Ottone Bacaredda ed Efisio Marini, la documentazione ufficiale oggi disponibile e i risultati dell’ispezione del 2006.

Innanzitutto vi è da chiedersi come mai la salma di Pietro Martini non continuò ad avere la sua originaria collocazione nella cappella dell’Oratorio del Cimitero Monumentale di Bonaria per essere spostata in un anonimo colombario, esposta all’azione diretta degli agenti atmosferici per centootto anni. Perché, e questo va detto come osservazione preliminare, la deposizione della salma in tale sito ha pregiudicato irreparabilmente il lavoro di conservazione di Efisio Marini.

Il Verbale della ricognizione sulla salma, effettuata l’11 settembre 1871, alla presenza fra gli altri, del fratello di Efisio Marini, Salvatore, e di Agostino Lay Rodriguez, che fotografò il cadavere pietrificato [1] è un punto di partenza per studiare gli anni successivi alla morte e alla pietrificazione dell’illustre studioso.

Il Verbale riferisce che a quella data il corpo del Martini non si trovava collocato nel luogo dove è stato ritrovato al momento della recentissima riesumazione, bensì all’interno di una non meglio precisata stanza sigillata, all’interno del Cimitero monumentale.

Esaminando le fonti che descrivono il Cimitero di Bonaria nella situazione degli anni in cui si svolsero i fatti narrati dalle fonti dell’epoca, la Guida al Cimitero dello Spano, del 1869 [2] , ricorda che a quella data Pietro Martini si trovava collocato nella cappella destra dell’Oratorio, nel terrazzo di fronte alla chiesa, luogo nel quale era ricordato con onore da parte dei suoi concittadini:

 

“Monumenti del terrazzo o atrio avanti alla Chiesa. La porta destra che fiancheggia l’Oratorio è chiusa e sigillata, perché dentro si conserva la salma di Pietro Martini dal giorno che morì, 17 febbraio 1866, sottoposta alle preparazioni del prof. Ef. Marini, onde ridurre il corpo allo stato lapideo, cioè per pietrificarlo. Sopra la porta vi era la seguente iscrizione temporaria che, per esser sulla tela si tiene conservata, e solamente vi si colloca nelle solennità. Credo opportuno di qui riportarla almeno per memoria di quell’illustre storico e rimpianto cittadino fino a che sorga il degno e magnifico monumento colla debita iscrizione, che la commissione a ciò instituita gli ha consacrata a nome della patria.

 

IMMUNI DALLA CONSUETA CORRUZIONE

DEI MORTALI

STANNO GLI ULTIMI AVANZI DELLO STORICO

PIETRO MARTINI

ACCOSTATEVI A QUESTO LUOGO CON AMMIRAZIONE

E RISPETTO

POICHÉ ESSE DIRANNO [3] DUE COSE GRANDI EGUALMENTE

LA GLORIA E LA MORTE” [4]

 

Tutto in perfetta aderenza con quanto riportato nel verbale del 1871, dove si afferma testualmente che il corpo del Martini si trovava conservato in una stanza chiusa:

 

“Avanti di procedere all’apertura della stanza ove assicurassi trovarsi depositato il cadavere, cioè data lettura dell’ultima verifica sullo stato dell’indicato cadavere e riconosciuta da tutti i presenti l’integrità delle serrature e dei sigilli, mancando solo in questi ultimi l’impronta scomparsa per il calore del sole e non essendovi elevato richiamo o fatta osservazione veruna, si divenne all’apertura della porta d’ingresso della stanza menzionata. ” [5]

 

Ma un altro dato ricordato nel Verbale deve far riflettere per la sua importanza ed è relativo alle operazioni eseguite dopo il riconoscimento della salma:

 

“Dietro ciò lo stesso cadavere, sempre alla presenza di tutti gli astanti, viene deposto in una cassa di legno foderata internamente, tranne che nel coperchio, di zinco. La cassa è, indi, chiusa a doppia chiave, con due lucchetti, delle quali una si consegna al suddetto signor Salvatore Marini e l’altra la ritiene il signor Sindaco. Inoltre si appongono i sigilli aventi l’impronta in ceralacca e la cassa così chiusa e sigillata, si conserva nella medesima stanza ov’era depositato il cadavere” [6] .

 

Non si parla, dunque, di una cassa in cui il Martini si trovava precedentemente  conservato, ma di testimoni che entrano nella stanza e lì trovano il corpo pietrificato dello storico. Solo al termine delle operazioni di riconoscimento il cadavere venne chiuso all’interno di una cassa lignea, peraltro non interamente zincata.

Un cadavere in piena esposizione, parrebbe.

Tutto ciò pare trovare una coerente corrispondenza con quanto scritto da Felice Uda sul “Corriere di Sardegna”, il quale raccontava che lo stesso Efisio Marini, nel breve periodo fra la morte del Martini (17 febbraio 1866) e le polemiche seguite alla diffusione della foto del pietrificato, scattata da Agostino Lay Rodriguez (settembre dello stesso anno), era solito condurre gruppi anche di trenta persone di fronte al corpo del Martini, il quale, è probabile, doveva trovarsi esposto non al chiuso di una cassa, bensì pienamente visibile e comunque protetto dal fatto di trovarsi all’interno di una stanza sigillata e visitabile attraverso le opportune autorizzazioni. Uda è piuttosto esplicito riguardo a una simile consuetudine:

 

“…il commendatore Martini sta ottimamente: è fresco e saldo come un pesce e sembra dire: Venitemi a trovare che discorreremo. Marini, interprete del suo desiderio, prendeva i cagliaritani a dieci e venti, a trenta per volta, e li portava in cimitero a conversare col morto” [7] .

 

Nella cappella a sinistra dello stesso oratorio, invece, erano conservate le salme degli arcivescovi cagliaritani, una esposizione quasi in contrapposizione fra una reliquia laica e le reliquie religiose.

Solo a partire dall’11 settembre 1871, dunque, il corpo del Martini venne conservato all’interno di una cassa, la quale, tuttavia continuò a rimanere nella cappella.

Ma qualcosa accadde negli anni successivi, quando ormai da tempo Efisio Marini viveva lontano dalla sua città matrigna, risentito nei confronti delle autorità locali e da queste parimenti ricambiato di sentimenti poco benevoli.

Nell’agosto del 1894 una delibera del Comune di Cagliari, presa su istanza dell’erede di Pietro Martini, dispose di tumulare la salma dello studioso in un luogo più conveniente [8] . Con la delibera, approvata definitivamente il 13 settembre dello stesso anno, si disponeva che la salma “venga per ora trasportata in uno dei colombari di nuova costruzione nel cimitero o altro a provvedersi in avvenire, perché in modo più degno sia ricordata la memoria del benemerito cittadino” [9] .

Sembra di capire, dalle motivazioni date, che il colombario in cui fu deposto Pietro Martini non fosse ritenuto del tutto degno o idoneo ad onorarne la memoria, se già si pensava, in avvenire, di spostarlo in qualche altro luogo.

Alcuni consiglieri comunali, del resto, si esprimevano proprio in questo senso, come il Melis, il quale proponeva che “sin d’ora pur trasportandone provvisoriamente la salma in un colombario, il Consiglio si pronunci perché a suo tempo gli sia eretto un degno ricordo” [10] .

Si rifletta fin d’ora sul fatto che si era presa una decisione assolutamente temporanea: il loculo nel colombario comunale non avrebbe dovuto essere l’ultima dimora per la salma del pietrificato.

Sul periodo intercorrente fra la decisione e la messa in atto della stessa passarono quasi tre anni, durante i quali non abbiamo documentazione ulteriore sugli avvenimenti collegati alla delibera. Possiamo però ricostruirli mettendo a confronto le posizioni del Bacaredda e del Marini, così come emergono dal loro epistolario pubblico, sulle pagine del quotidiano “L’Unione Sarda”.

Nel 1898 Efisio Marini, già seriamente malato, scriveva una vigorosa lettera di rimprovero al Sindaco di Cagliari, Ottone Bacaredda, mostrandogli la sua contrarietà per il trasferimento della salma del Martini dalla cappella a un anonimo loculo in altra sezione del Cimitero, operazione decisa, come visto, con la delibera del Consiglio Comunale del 1894, senza averlo preventivamente consultato e, secondo quanto erroneamente ritenuto dal pietrificatore, senza il consenso dei familiari del Martini [11] .

Anche per questo motivo il Marini si era rifiutato di assistere a quanto disposto dal Comune di Cagliari riguardo alla salma. Col suo intervento lo scienziato temeva di avallare, anche implicitamente una deliberazione presa senza il suo parere.

Ma lo scienziato era ormai portato a pensare che nella nuova sistemazione si voleva chiudere l’ultimo “molesto ricordo degli avvenimenti del 1887” [12] , con riferimento al fallimento dell’istituto di credito incaricato di amministrare i fondi raccolti per la costruzione del monumento al Martini, fallimento avvenuto in quell’anno, e non riusciva a credere “che così dovesse finire il cadavere di tanto uomo” [13] .

Chiudeva la sua lettera con una lamentazione accorata: “Povero paese in cui i vivi si lacerano – e questo è il rispetto per la memoria di quelli che lo onorano” [14] .

Bacaredda, dopo sole ventiquattr’ore, gli rispose aspramente, sempre sulle pagine de “L’Unione Sarda”, ribattendo punto per punto alle affermazioni del Marini [15] .

Innanzitutto il Sindaco di Cagliari affermava che il trasferimento della salma, “dallo stambugio, dove si trova da ben trentadue anni confinata, ad un colombario di 1.a classe” [16] era stata decisa insieme con l’erede del Martini, che ne aveva fatto istanza, e il Consiglio Comunale aveva coerentemente provveduto con l’apposita delibera del 1894.

Inoltre il Marini era stato informato da tempo, con una lettera dell’1 marzo 1895 della decisione presa ma ancora da porre in esecuzione.

Bacaredda insisteva quindi nel dire che era “indecoroso che i resti di tanto uomo rimanessero ulteriormente confinati in luogo male adatto, entro un cassone purchessia, senza un segno visibile che lo ricordasse ai cittadini” [17] . La lettera del Sindaco, così, ci informa, in modo implicito, di come si trovava conservato il corpo del Martini fino al 1898. Sempre il Sindaco sosteneva che la conservazione della salma nella cappella dell’oratorio era una sistemazione assolutamente provvisoria ed era stata decisa “d’accordo con V. S. per agevolare i definitivi lavori di pietrificazione del cadavere” [18] .

Secondo Bacaredda, dunque la salma necessitava, anche anni dopo la sua pietrificazione, di ulteriori e definitivi trattamenti, motivo per cui essa rimase collocata nella cappella.

Ma dall’esame della lettera scritta da Bacaredda si vengono a rivelare ulteriori particolari assai interessanti sempre relativi alla conservazione della salma. Tale conservazione, infatti, sempre a detta di Bacaredda, doveva essere periodicamente verificata e il corpo doveva essere trattato con i preparati del Marini, fino ad arrivare a una definitiva conservazione lapidea. Eppure il Sindaco di Cagliari rimproverava il Marini di non aver più voluto lasciare indicazioni, a partire dal 1895, su come proseguire il trattamento di pietrificazione:

 

“dal marzo 1895 ad oggi, se V. S. ha trovato modo di manifestare replicatamente il dispiacere di non veder sorgere il monumento a Pietro Martini, si astenne dal comunicare qualunque disegno o desiderio in ordine ad ulteriori lavori di conservazione della salma; ed anzi sdegnò, come tuttora sdegna, di voler presenziare alla constatazione delle condizioni presenti della salma medesima” [19] .

 

Nella sua piccata replica Bacaredda concludeva affermando che la nuova sistemazione sarebbe stata più decorosa e, finalmente, stabile, per un personaggio tanto insigne:

 

“Così dunque non finisce il suo cadavere, come V. S. mostra di credere. Il suo cadavere va a trovare, invece, più decoroso e meno precario collocamento […] ma dire che sia mancar di rispetto ad un cittadino illustre il sottrarne la salma all’oscurità più che trentennale di un umido stambugio, per collocarla in uno dei loculi più distinti del civico Cimitero, è asserzione troppo leggera, e che non troverà, io spero, eco nella cittadinanza” [20] .

 

Le argomentazioni esposte dal Sindaco, tuttavia, oltre che in contraddizione con quanto asserito nella delibera del 1894, che parlava di soluzione temporanea, non dovettero dimostrarsi troppo convincenti; difatti, come vedremo, Efisio Marini scrisse, nei mesi successivi, altre lettere per chiarire la sua posizione e le sue preoccupazioni nei confronti dell’imminente spostamento della salma del Martini, paventando i danni che si sarebbero potuti facilmente verificare collocando la cassa in un luogo meno protetto rispetto a una cappella chiusa e sigillata, come in effetti si rivelerà la nuova sede: un loculo all’aria aperta, estremamente esposto agli agenti atmosferici [21] . Esso, peraltro era privo di un’adeguata iscrizione commemorativa, giacché i fondi raccolti dal Comitato per il Monumento a Pietro Martini, come visto, erano andati perduti nel 1887, nel disastro finanziario della banca incaricata di amministrarli fin dal lontano 1866. Tutto ciò contribuirà all’aspra polemica fra lo scienziato e il Sindaco di Cagliari, ma intanto la decisione di spostare la salma veniva finalmente posta in atto.

Come riporta un breve articolo pubblicato su “L’Unione Sarda”, il 14 febbraio 1898, alle 11 del mattino avvenne la traslazione “dalla stanza di deposito ove trovavasi da lunghi anni, nel colombaio all’uopo assegnato provvisoriamente, in attesa di collocamento adeguato all’importanza dell’uomo” [22] .

Nell’articolo si faceva riferimento a una precedente constatazione dello stato della salma, avvenuta il 18 dicembre 1882 e si dava per scontato che il trasferimento sarebbe stato del tutto provvisorio e che il luogo scelto non era esattamente “degno” di accogliere il Martini.

L’ora tarda in cui terminò la cerimonia non permise di redire un articolo esauriente, per cui sarebbe stato il giornale del giorno successivo ad entrare nei particolari, fornendo ulteriori e preziosi dettagli sulla storia della salma.

L’articolo del 15 febbraio 1898, di penna ignota, prima di raccontare la cerimonia di traslazione si rivela prodigo di informazioni sulla storia della salma del Martini. Innanzitutto si ricordava come lo storico cagliaritano era morto il 17 febbraio 1866 e subito dopo, il 19 febbraio, a poco più di 24 ore dal decesso, Efisio Marini lo aveva pietrificato col suo procedimento segreto, per poi comporlo in una cassa e custodirlo dentro la cappella dell’Oratorio, nel Cimitero di Bonaria. L’operazione di pietrificazione era stata compiuta in tempi rapidissimi proprio per evitare i danni di una rapida corruzione del corpo.

Come sappiamo, vi erano state alcune riesumazioni della salma, negli anni successivi. Un’ulteriore riesumazione venne però richiesta al Sindaco di Cagliari, Salvatore Marcello, dallo stesso Efisio Marini, che voleva constatare le condizioni della salma a 16 anni dalla sua pietrificazione.

L’articolista pubblicava il verbale integrale della riesumazione del 1882, che fornisce, ancora una volta, preziosi particolari sulla salma, la sua conservazione e il luogo dove si trovava.

Una volta raggiunta la cappella dell’Oratorio si procedette alla verifica dello stato della cassa in legno ove riposava la salma e all’ispezione dei sigilli. Quindi, procedutosi al disigillamento, la cassa venne aperta e al suo interno si riconobbe “il cadavere integro e benissimo conservato allo stato coriaceo, con cui era stato preparato, e riconoscibile, ricordando tutti gli astanti i suoi caratteristici lineamenti” [23] . Dopo tale verifica la salma veniva coperta di una tela bianca e richiusa nella cassa.

Il verbale del 1882 può essere confrontato con quello precedente, del 1871, e con quello compilato al termine della traslazione del 1898, anch’esso riportato dall’articolista.

Le operazioni di traslazione erano cominciate con la lettura del verbale del 1882 e, successivamente, con l’ispezione del luogo ove trovavasi la salma. Essa era sempre conservata nella cappella dell’Oratorio, in una cassa posta su due infissi di legno, all’altezza di due metri e mezzo dal suolo. Aperta la cassa, “sotto un drappo di tela bianca, fu ritrovato un cadavere in stato coriaceo, ancora molto bene conservato, salvo in alcune sue parti” [24] , che fu riconosciuto da tutti come quello del cavalier Pietro Martini.

A questo punto si ritrovano molti dei particolari poi puntualmente riscontrati al momento dell’ispezione del 2006, per cui è utile riportare integralmente il contenuto del verbale di traslazione:

 

“La stessa salma avvolta in un lenzuolo e ricoperta dello stesso drappo di tela ritrovato nella primitiva cassa  fu composta in un’altra cassa di legno noce portante una targhetta in ottone colla scritta – Pietro Martini – e munita di una apertura a cristallo, che permette la visione della testa del cadavere. Nella stessa cassa furono collocate diligentemente tre boccette di vetro avvolte in carta colle scritte: A. B. l’una; B. S. l’altra e la terza senza scritta di sorta, nonché un pennellino di setola bianca ed un piccolo bicchiere di vetro bianco. Alcuni residui sotto forma di terriccio esistenti ed attaccati al fondo della prima cassa, furono del pari diligentemente raccolti in un piccolo vaso di vetro avvolto in corda colla scritta indicativa. Il tutto depositato nella cassa di noce di cui sopra, venne la medesima ermeticamente chiusa a viti d’ottone ed a braccio dei pompieri municipali trasportata, seguita dai presenti al loculo N° 7 serie 11, ordine 4 di questo civico Cimitero e murato in presenza dei sottoscritti il loculo medesimo” [25] .

 

Come si vedrà nell’intervento del Dottor Antonio Maccioni, si tratta della medesima situazione riscontrata con l’ispezione del febbraio 2006, a parte, ovviamente, le disastrose condizioni di conservazione della salma.

Intanto, non appena saputo della definitiva traslazione, a distanza di soli quattro giorni dal resoconto pubblicato su “L’Unione Sarda”, Efisio Marini inviò una lettera allo stesso quotidiano per esprimere le sue considerazioni sull’avvenimento e per ribattere alla precedente lettera di Ottone Bacaredda, che tanto doveva averlo indisposto, per le accuse di leggerezza mossegli dal Sindaco [26] .

Marini, coniugando sottili ma impietosi strumenti retorici alla citazione di documentazione ufficiale e circostanziata, smontava di fatto l’intero castello di osservazioni costruito dal Sindaco Bacaredda nella sua precedente lettera. Il tentativo era lodevole ma avrebbe portato a una pronta e piccata risposta dello stesso Bacaredda e all’inasprirsi ulteriore della polemica fra i due.

Con la sua lettera Marini si sentiva obbligato a replicare alle affermazioni su una sua presunta leggerezza nell’affrontare le vicende della salma del Martini. Il pietrificatore era stato quasi accusato dal Bacaredda di non aver agevolato i definitivi lavori di pietrificazione e di non aver comunicato nulla di particolare sulla conservazione futura della salma; inoltre gli si rimproverava di non aver voluto assistere ad altre eventuali ricognizioni sulla salma.

Secondo Marini le parole del Sindaco potevano essere interpretate in maniera ancor più dura:

 

“che io me ne andai in continente abbandonando a mezzo la preparazione del cadavere, che mi son sempre rifiutato di assistere, o far assistere qualche mio rappresentante, all’accertamento dello stato veramente deplorevole cui le mie ubbie sui sistemi di conservazione avevano ridotto il cadavere” [27] .

 

Marini ricordava invece come le relazioni ufficiali del tempo asserivano che il cadavere era stato perfettamente conservato. Un anno dopo la morte del Martini, inoltre, come sempre ricordava il pietrificatore, il cadavere venne portato “allo stato coriaceo – riducibile in qualunque tempo allo stato di freschezza naturale – e con ciò il mio compito era finito” [28] .

Vale a dire che il pietrificatore non si sentiva altre responsabilità sulla salma, dopo averne completato l’intera preparazione. Gli altri problemi li avrebbe dovuti risolvere l’istituzione comunale.

Dopo di che Marini ricordava che i tre verbali ufficiali delle ricognizioni del 1868, 1871 e 1882, erano regolarmente in possesso del Comune cagliaritano, per trovare conferma delle sue parole; in ogni caso egli stesso ne possedeva duplice copia di ognuno, per opportuni confronti.

In particolare, con la ricognizione del 1871, Marini aveva consegnato definitivamente il corpo del Martini al Comune di Cagliari, concludendo così tutte le operazioni relative alla pietrificazione e conservazione.

Piuttosto, Marini tornò a Cagliari nel 1882, con l’intenzione di sbrigare alcuni affari personali. Nell’occasione, come sempre ricorda il pietrificatore, lui in persona (ille ego) prese la decisione di condurre una nuova ispezione, che abbiamo visto documentata nel verbale del 1882. Come incalzava sempre Marini, dove mai si vede un suo disinteresse o sdegno nei confronti della salma e della sua conservazione?

Il pietrificatore coglieva l’occasione per portare al Bacaredda una stoccata sotto forma di domanda retorica:

 

“E dopo tutto ciò mi permetta di chiederle, perché proprio ne ho il diritto, anzi il dovere, a tutela del mio decoro: come ha potuto la S. V. affermare cose così completamente contrarie al vero, smentite da pubblici documenti?” [29] .

 

Per tali motivi egli non intendeva consacrare con la sua presenza, quasi una complicità, un atto che lo ripugnava profondamente.

Insomma, per Marini lo spostamento del corpo di Pietro Martini era un atto grave, per giunta se da un lato si voleva porre fine alla provvisorietà della sua sistemazione nella cappella dell’Oratorio, dall’altro si instaurava un’altra provvisorietà, ben più grave della precedente e, per giunta, poco dignitosa:

 

“Ma mi pare uno strano modo di cangiare una provvisorietà in un’altra, che viceversa è quanto vi può essere di più definitivo. Preparato il cadavere del Martini, ne veniva per conseguenza, che esso dovesse essere in tale posizione da potere in qualunque momento essere visibile. Se era per cacciarlo in un colombaio, la preparazione era inutile” [30] .

 

E ancora ricordava le parole del Vivanet, nella sua biografia di Pietro Martini, che conteneva proprio la foto scattata da Agostino Lay Rodriguez [31] :

 

“Il Martini, per quanto io ricordo, era in una stanza a fianco alla cappella del Cimitero. Il Vivanet a p. 81 del suo bel libro su Pietro Martini, nella nota 16 così scrive: “Finché non avrà stanza migliore, esso (cadavere) resterà depositato nel luogo dipinto con sì vivi colori dall’illustre poeta e letterato Regaldi”. Io non so se questo sia proprio quello stesso locale, che Ella, letterato esimio, qualifica per stambugio. Ma sia pure! Il colombaio, anche se di primissima classe, non parmi quella stanza migliore a cui allude il Vivanet” [32] .

 

La lettera del Marini si faceva a questo punto più tagliente nei confronti del Bacaredda e della decisione di spostare la salma; il pietrificatore illustrava i perché della gravità della decisione e non perdeva l’occasione di proporre paragoni con casi simili trattati in ben diversa maniera:

 

“Martini, nel cassone purchessia e in uno stambugio, è solo: nessuno pagando può avere un simile stambugio. Io non pretendo che si faccia un famedio per coloro che hanno illustrato la patria nelle scienze o nel Consiglio comunale (notare il sottile sarcasmo nei confronti delle glorie del Sindaco, NdT), che si tenga la salma del Martini come il Municipio di Milano tiene la salma del Manzoni (altro sarcasmo nei confronti del Comune di Cagliari che si differenzia in negativo con Milano, NdT) […]. Non occorre il fasto per mostrare la reverente venerazione pei morti. Basta la cassa di metallo sormontata da un cristallo ovale, che mi si riferisce sia stata recentemente preparata da cotesto municipio, purché naturalmente sia custodita da un’altra cassa di legno. A questo modo è conservata la salma del Manzoni e così sono pur conservate le molte che io ho preparate” [33] .

 

Importante, in questo passo, osservare alcuni particolari procedimenti utilizzati dal Marini per la conservazione delle salme e la loro ispezione in momenti successivi: doppia cassa in legno e cristallo all’altezza del viso, tutto però conservato in un luogo adatto, al riparo soprattutto dagli agenti atmosferici.

Il pietrificatore concludeva la sua aspra lettera con una dichiarazione di correttezza etica e, insieme, di scuse per i toni da lui usati, che potevano far pensare a superbia:

 

“Non tema, no, illustre sig. commendatore; quando sul serio si vorrà onorare una delle nostre vere glorie (notare come si calchi sull’espressione “sul serio” e sulle “vere glorie”, opposte forse a quelle vantate dal Bacaredda, NdT), Efisio Marini non si tirerà indietro. Capisco che potrà parere superbia quella di non accettare il modo di vedere del Consiglio comunale sul modo di onorare Pietro Martini: ma spero che le ragioni da me addotte sieno tali da far scomparire questa parvenza, e proprio troveranno nella cittadinanza intelligente quell’eco che la S. V. spera non risponda alla mia voce. E questa mia è l’ultima e definitiva parola sull’incresciosa questione” [34] .

 

Con la durissima presa di posizione finale nei confronti del Bacaredda, Marini si augurava di non dover più tornare sulla vicenda della salma di Pietro Martini.

Così non sarebbe stato, dal momento che il Sindaco decise di replicare alle accuse mossegli, attraverso una nuova lettera, se possibile ancora più aspra delle precedenti.

La lettera scritta dal Sindaco e pubblicata su “L’Unione Sarda” del 23 febbraio 1898, si rivela anch’essa ricca di notizie interessanti [35] .

Secondo Bacaredda non esisteva in Comune alcun documento che dimostrasse che i lavori di pietrificazione del Martini fossero conclusi, come non vi era traccia dell’avvenuta consegna della stessa al Comune. Per questo la sua Giunta non poteva far riferimento a iniziative precedenti a lei sconosciute e soprattutto, il Sindaco non poteva che far riferimento a quanto da lui conosciuto sulla base della documentazione esistente. Se i documenti citati dal Marini fossero esistiti, allora il pietrificatore avrebbe dovuto comunicarlo al Sindaco, magari rispondendo a una lettera spedita dallo stesso Bacaredda in data 1 marzo 1895, protocollo n° 1460, con la quale si informava Efisio Marini della Delibera per la traslazione della salma pietrificata.

Lo stesso Bacaredda aveva scritto anche per avere conferma di poter agire di comune accordo col pietrificatore. E così era sembrato dovesse accadere, come rivela una lettera di risposta del Marini al Sindaco, che lo stesso Bacaredda allega puntualmente al suo scritto. Così rispondeva Marini da Napoli il 14 aprile 1895:

 

“Ringrazio sentitamente la S. V. Ill.ma del gentile avviso. Ma non posso nascondere un certo senso di dispiacere… A mio parere l’istanza dell’erede ed esecutore testamentario non risponde ai giusti e patriottici desiderii del popolo sardo, che, se non erro, apriva anni fa la sottoscrizione per un monumento; ed un troppo modesto ed oscuro colombario che sottraesse alla vista del pubblico quella salma veneranda, potrebbe attirarci le censure degli altri italiani; che hanno sempre pronto il disprezzo e l’insulto per la nostra isola sfortunata. Non vorrei si credesse che io faccia delle lagnanze perché la città natale, cui opinava affidare il mio piccolo museo, tenga in poco conto la conservazione di quel cadavere, la quale segna il punto di partenza delle mie scoperte sui diversi sistemi [36] : mi muove soltanto a parlare così un intenso amore per il paese. Sicuro intanto che vorrà favorevolmente interpretare queste considerazioni, rinnovo i più sentiti ringraziamenti per la cortese partecipazione, e mi dichiaro con ossequio

Suo Dev.mo

Efisio Marini”

 

Dopo aver riprodotto la lettera del Marini, il Sindaco osservava che da essa, oltre a trasparire l’amore per il paese e per il popolo sardo, oltre che per il Municipio cagliaritano, non si faceva alcun riferimento ai pubblici documenti “in nome dei quali V. S. ora si scalmana” [37] . Invece come sosteneva ancora Bacaredda, Marini aveva preferito non sbottonarsi sull’iniziativa e aveva preferito fare “l’indiano”, nonostante una successiva lettera del 15 dicembre 1897, protocollo n° 11335, con la quale si invitava il pietrificatore a presenziare alla traslazione della salma di Martini, che sarebbe avvenuta quarantacinque giorni dopo.

Pure in quella occasione Marini non aveva dato risposta e ci volle un’ulteriore lettera, stavolta raccomandata e con ricevuta di ritorno, perché egli, come osserva sarcasticamente Bacaredda, “rompesse l’alto sonno nella testa” [38] . A quel punto Marini era finalmente intervenuto con la già esaminata lettera del 19 gennaio 1898, in cui se la prendeva contro la sua città matrigna, che non aveva dato a Pietro Martini il tanto agognato monumento funebre. Secondo Bacaredda Marini aveva implicitamente dato le colpe all’amministrazione comunale, che non avrebbe saputo arginare il fallimento, nel 1887, dell’istituto di credito che aveva conservato i soldi per il monumento. Di questo fatto, naturalmente, Ottone Bacaredda rivendicava la sua totale estraneità.

Sempre secondo il Sindaco, tutto il polverone suscitato dal Marini era inutile, giacché non era lontano il giorno in cui sarebbe realizzato un decoroso famedio in cui raccogliere i resti di tutti i cagliaritani illustri.

Per la verità, quel giorno Cagliari lo sta ancora aspettando da oltre un secolo, ma nel frattempo le cose dell’amministrazione cittadina sono andate come sono andate; ad ogni modo Bacaredda proseguiva la sua lettera rimproverando ancora il pietrificatore, per aver perso l’occasione di consolidare la sua fama in una grande cerimonia pubblica con la quale si sarebbe effettuata la traslazione della salma del Martini. Qui, per la verità, Bacaredda sembra contraddirsi ancora una volta, dal momento che la cerimonia di traslazione fu in realtà assai semplice e riservata a pochi partecipanti, senza il concorso della cittadinanza, che forse difficilmente si sarebbe potuta spiegare il trasferimento della gloria cittadina da una cappella cimiteriale a un anonimo loculo nel nuovo colombario comunale.

Ma il Sindaco proseguiva nei suoi rimproveri rinfacciando a Marini di non aver provveduto egli stesso, anni addietro, a una sistemazione onorevole della salma, collocandolo o facendolo collocare in un’umile cassa di noce da 78 lire e 50 centesimi, su due pioli di legno ad un’altezza di due metri e mezzo dal suolo, in una stanza comunque buia e umida. E come mai, si chiedeva ancora Bacaredda, non aveva dato opportuni suggerimenti all’amministrazione comunale in tutti quegli anni? In quel caso allora si, il pietrificatore sarebbe stato dalla parte della ragione nella polemica creatasi.

 

“Ma a V. S. non garbava battere la via maestra. Poteva illuminarci e ci lasciò nell’errore; poteva salvare il Muratori della Sardegna dall’onta di un colombario, e non impedì la profanazione; poteva stornare un delitto e se ne rese complice!” [39] .

 

E Bacaredda concludeva con una punta di veleno la sua già aspra lettera:

 

“Né vi è gran male se per parecchi anni sarà tolto ai suoi cittadini, come V. S. deplora di rammentarne le fattezze. Tanto non le riconoscerebbero” [40] .

 

La dura presa di posizione di Bacaredda sembrava chiudere definitivamente la polemica, pur fra alcune contraddizioni mostrate dal Sindaco nella sua vera e propria requisitoria contro il suo avversario. Invece il 4 marzo 1898, ancora con grande rapidità, Efisio Marini replicava al Sindaco di Cagliari e lo faceva con vigorosa energia e mente lucida, nonostante l’età e il fisico malato.

Il pietrificatore si sentiva in dovere di riprendere la parola contro il Sindaco “pur dolente di abbassarmi a raccogliere qualcuna fra le tante inurbane volgarità, sparse a piene mani nella sua poco felice difesa” [41] .

Marini chiariva, come prima cosa, che la consegna della salma al Comune di Cagliari era stata fatta in modo ufficiale dall’allora Sindaco Roberti, come dimostrava in modo palese il Verbale della ricognizione del 1871, di cui una copia, come riportato nello stesso documento, doveva conservarsi nel Municipio di Cagliari. “Ben conservato ma mal cercato”, come osserva il pietrificatore, al contrario dello zelo mostrato dal Sindaco nel ricercare la ricevuta del “cassone purchessia” da 78 lire e 50 centesimi.

In questa occasione Marini ricordava la sua ottima memoria e la predisposizione a “conservare” qualsiasi cosa, caratteristiche tornate utili per rispondere adeguatamente al Bacaredda:

 

“Fortuna che l’abitudine di conservare mi ha fatto salvare questo documento decisivo, come mi ha fatto trovare intatta la lettera di quel vero gentiluomo, non solo di nascita, ma anche di educazione che era il marchese Roberti (notare ancora una volta il feroce sarcasmo del Marini nei confronti del Bacaredda N.d.T.)” [42] .

 

Il pietrificatore ribadiva così, ancora una volta, quali erano i limiti del suo compito di scienziato:

 

“E dopo ciò, che c’entrava io più col cadavere? Che altro mi restava da fare? Come preparatore nulla affatto” [43] .

 

A questo punto Marini si sentiva in diritto di esprimere la sua libera opinione sull’intera vicenda, così come dovrebbe essere concesso a tutti, chiarendo esplicitamente che egli non voleva passare da persona diversa da com’era, al contrario di come lo stava dipingendo il Sindaco di Cagliari:

 

“E sebbene ad arte Ella voglia farmi passare per nemico e denigratore del mio paese, nessuno di quelli che mi conoscono presterà certo fede a questa che altro non è se non una malizia o una malignità puerile. Amo la mia città quanto qualunque altro, sebbene non creda necessario di stamparlo sui giornali. Se dopo il 1895 io non feci più sentire la mia voce, si è perché non a me spettava parlare, ma a chi aveva ricevuto la mia lettera, alla quale invano attendo ancora una risposta, sebbene in essa avessi manifestato il divisamento di far dono al Municipio di Cagliari del mio piccolo Museo. Ritengo naturalmente che tutto sia finito a questo proposito, e mi intendo svincolato, prima di tutto, perché il suo modo di parlare ed il suo modo di tacere per due anni mi persuadono che Ella, nella sua alta competenza, fa ben poca stima dei miei poveri lavori” [44] .

 

Da queste poche righe riconosciamo tutta la sofferta personalità del pietrificatore, genio incompreso nella sua terra matrigna, eppure così innamorato di essa, nella quale aveva sognato a lungo di tornare come profeta in patria e lontano dalla quale, invece, morirà dimenticato da tutti o quasi. Il suo museo di preparati pietrificati, visibile nelle foto di un articolo che sarebbe uscito in Francia proprio nei mesi immediatamente successivi alla polemica [45] , aveva suscitato la totale indifferenza degli amministratori cagliaritani e da ciò Marini aveva tratto la definitiva conclusione che dalla sua città natale non avrebbe dovuto più aspettarsi nulla. Non è un caso se proprio nell’articolo di Luigi Ferrara lo stesso Marini concludeva sconsolatamente che avrebbe finito per buttare a mare tutti i suoi lavori [46] .

Così proseguendo nella sua amara replica, Marini ricordava di non essere stato assolutamente invitato per il giorno della traslazione della salma del Martini, data modificata rispetto alle disposizioni iniziali. A riprova della malafede di Bacaredda egli osserva che questi

 

“si sarebbe certo curato di avvisarmi del giorno nuovamente fissato; tanto più sapendo che presso di me era una delle due chiavi che chiudevano la cassa. La mancanza di avviso prova nel modo più evidente che le ragioni addotte non avevano valore di sorta e che al solito si trattava di chiacchiere. Tengo a sua disposizione la chiavetta per il caso in cui voglia depositarla nel Museo di Archeologia, come ricordo ai posteri del modo con cui nel secolo XIX si usava aprire le casse” [47] .

 

Il pietrificatore riportava poi tutte le lodi ufficiali che la sua scienza aveva riscosso presso la comunità scientifica internazionale, osservando ferocemente che

 

“le salme di Benedetto Cairoli e del Cardinal Sanfelice, stanno ad attestare, che Ella ignora completamente quali siano i risultati dei miei studi, e che i fatti non si possono distruggere con un’ordinanza sindacale” [48] .

 

Ancora una volta Marini ricordava quanto aveva sofferto a causa dell’ostilità mostratagli dalla sua città natale, ostilità ricordata anche dai giornali internazionali, come la rivista “Les Mondes”, che già nel 1868 scriveva testualmente:

 

“D’altro canto, se Marini ha avuto molto da soffrire per l’opposizione sistematica e per l’incredulità che ha dovuto riscontrare nella sua città natale, Cagliari, egli è oggi nobilmente vendicato” [49] .

 

Per concludere, sempre con una punta di velenosa amarezza:

 

“Io non credo che nessuno dei concittadini meriti l’accusa contenuta in queste parole. Certo le merita Lei, che nella sua condizione di nervosità si è spinto a chiamarmi complice di un delitto. I miei concittadini sanno che io non son capace di delitti né volontari né colposi” [50] .

 

Era l’ultimo atto della polemica, non sarebbero arrivate ulteriori repliche da parte di Ottone Bacaredda, forse colpito dalla puntigliosa precisione delle ragioni del suo avversario. Fatto sta che l’intera polemica, soprattutto nelle sue fasi finali, aveva creato uno spiacevole effetto di quella che oggi chiameremmo “sovraesposizione mediatica” del Marini, al quale avrebbe forse giovato a un certo momento lasciar perdere.

Bacaredda, d’altronde, era il Sindaco di Cagliari, stimato e riverito per gli importanti progressi apportati alla sua città, che sotto il suo governo conobbe un momento di riorganizzazione urbana e rifioritura culturale. Era di fatto una corazzata imperforabile, oltre che un bacino di consensi enorme, non solo in città, cosa che lo poneva in una situazione di forza, rispetto all’ombroso e lontano medico pietrificatore. Bacaredda, insomma, sapeva di poter sempre avere l’ultima parola in città e di poter aggiustare a suo favore polemiche e vicende ben più gravi della seppur importante questione della salma di Pietro Martini. Di lì a poco, inoltre, Efisio Marini sarebbe morto, quasi dimenticato da tutti e il problema si sarebbe risolto da sé.

Tuttavia, alla luce dei fatti recenti, dopo aver constatato i risultati dello spostamento della salma, è ormai tristemente chiaro che i rimproveri del Marini a Ottone Bacaredda non erano stati senza motivo. La sistemazione voluta dal Comune di Cagliari si è rivelata, alla luce dei fatti, una decisione scriteriata, presa con grande leggerezza e senza tenere conto degli evidentissimi inconvenienti che, per legge naturale, si sarebbero verificati. La decisione sullo spostamento della salma potrebbe aver avuto “spinte” non solo da parte dell’erede del Martini ma anche da parte di chi non apprezzava il fatto che la salma pietrificata, parziale trionfo della scienza sulla natura, si trovasse accostata alle salme corrotte degli arcivescovi cagliaritani. Forse, ancora, si pensava realmente che il loculo nel colombario sarebbe stata una sistemazione provvisoria, eppure sappiamo molto bene come a Cagliari le situazioni provvisorie si trasformino facilmente in definitive, dando luogo a problemi maggiori di quelli che si vorrebbero risolvere. A tutto ciò non giovò l’acuirsi della polemica fra Marini e Bacaredda, ciascuno fermo sulle sue posizioni e convinto delle proprie ragioni, per cui a farne le spese fu la salma di Pietro Martini.

Vi è da riflettere, alla fine di questa ricerca, su una triste costante nell’amministrazione civica cagliaritana e, più in generale sulle capacità amministrative del ceto dirigente sardo nei confronti dei propri beni, della propria storia e, in definitiva della propria identità.

Dalle vicende archeologiche e monumentali di Oristano (distruzione delle torri e delle mura perché “di non rilevante interesse culturale”) e di Cagliari (la città medioevale di Santa Igia si può lasciare sotto la spazzatura “perché sotto di essa si conserva meglio”), passando per le distruzioni del quartiere cagliaritano di Stampace o di Tuvixeddu, fino alla triste vicenda del ripascimento della spiaggia del Poetto, sempre a Cagliari, per concludere, almeno provvisoriamente, con lo scandalo della tomba di Pietro Martini, si presenta l’immagine di un popolo sardo ancora poco sensibile verso la propria storia, governato, coerentemente, da un gruppo di amministratori che ha brillato più per la cronica incapacità di trovare soluzioni ai problemi di interesse generale e per la sterile polemica fine a sé stessa che per una politica alta, veramente degna di questo nome. La vicenda della salma di Pietro Martini non fa che confermare tale stato di fatto.

Per ironia della sorte, nello stesso muro dove venne conservato Pietro Martini, anni dopo sarà tumulato lo stesso Bacaredda e le condizioni della cassa e della salma non dovrebbero essere troppo differenti, oggi, da quelle constatate per il povero erudito cagliaritano.

Con poca consolazione per tutti.

 

 

 

 



[1] Copia del Verbale della riesumazione del cadavere di Pietro Martini, effettuata nel Camposanto di Cagliari l’11 settembre 1871. Ringrazio il Dottor Roberto Montisci, Direttore dei Servizi Cimiteriali del Comune di Cagliari, per avere messo a disposizione copia del documento, in passato già letto e pubblicato da O. MACCIONI, Cagliari fra cronaca e immagini, Cagliari 1982, p. 470.

 

[2] G. SPANO, Storia e necrologio del Campo Santo di Cagliari, Cagliari 1869, pp. 211-212.

 

[3] Nella copia della Guida conservata presso la Biblioteca Comunale di Cagliari, di fianco a questo passo una mano ignota ha annotato a matita la seguente correzione: “poiché in esso si hanno”.

 

[4] G. SPANO, Storia e necrologio, cit., pp. 211-212.

 

[5] Verbale, cit.

 

[6] Ibidem.

 

[7] F. UDA, Un grappolo di spropositi sopra la fotografia del Comm. Martini, in “Il Corriere di Sardegna. Giornale Politico – Economico – Commerciale”, martedì 18 settembre 1866, Appendice, pubblicato anche da O. MACCIONI, Cagliari, cit., p. 467. Cfr. anche C. ZEDDA, Profilo storico, in Il Pietrificatore. Efisio Marini: Cagliari 1835 -–Napoli 1900, Catalogo della Mostra, pp. 9-10.

 

[8] Archivio Comunale di Cagliari – Biblioteca di Studi Sardi, Registri dei Verbali  del Consiglio Comunale di Cagliari, 1894 Agosto 31. Ringrazio vivamente il personale della Biblioteca per la grande e appassionata collaborazione nella ricerca della documentazione.

 

[9] Registri dei Verbali del Consiglio Comunale di Cagliari, cit.

 

[10] Ibidem.

 

[11] E. MARINI, (Al Sindaco Bacaredda) per la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, anno X, n° 26, 26 gennaio 1898, p. 2.

 

[12] Ibidem.

 

[13] Ibidem

 

[14] Ibidem

 

[15] O. BACAREDDA, (A Efisio Marini) per la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda, anno X, n° 27, 27 gennaio 1898, p. 2.

 

[16] Ibidem.

 

[17] Ibidem

 

[18] Ibidem

 

[19] Ibidem

 

[20] Ibidem

 

[21] E. MARINI, La salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda, anno X, n° 50, 19 febbraio 1898 e n° 62, 4 marzo 1898.

 

[22] La salma di Pietro Martini, in L’Unione Sarda”, Anno X, n° 45, 14 febbraio 1898.

[23] La salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, martedì 15 febbraio 1898.

 

[24] La salma di Pietro Martini, cit.

 

[25] Ibidem.

 

[26] E. MARINI, Efisio Marini e la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, sabato 19 febbraio 1898.

 

[27] E. MARINI, Efisio Marini e la salma di Pietro Martini, cit.

 

[28] Ibidem.

 

[29] Ibidem.

 

[30] Ibidem.

 

[31] P. VIVANET, Vita di Pietro Martini, Cagliari 1866.

 

[32] Ibidem.

 

[33] Ibidem.

 

[34] Ibidem.

 

[35] O. BACAREDDA, Per la salma di Pietro Martini, in “L’Unione Sarda”, 23 febbraio 1898.

 

[36] Si osservi come Marini riteneva che l’esperimento sul cadavere di Pietro Martini fosse il punto di partenza dei suoi esperimenti e che i risultati raggiunti con esso fossero suscettibili di miglioramento, come egli stesso dirà nella lettera indirizzata a Mariano Semola, nel 1884, cfr. E. MARINI, All’Onorevole Commendatore Mariano Semola, Ispettore Sanitario della Croce Bianca. Lettera sulla cura praticata dal Dottor Efisio Marini ai colerosi della Sezione Mercato e Torre Annunziata, Napoli 1884, pp. 2-3.

 

[37] O. BACAREDDA, Per la salma di Pietro Martini, cit.

 

[38] Ibidem.

 

[39] Ibidem.

 

[40] Ibidem.

 

[41] E. MARINI, Ancora per la salma di Martini, in “L’Unione Sarda”, 4 marzo 1898.

 

[42] E. MARINI, Ancora sulla salma, cit.

 

[43] Ibidem.

 

[44] Ibidem.

 

[45] Si veda L. FERRARA, La survivance du corps, estratto della “Revue des Revues”, Paris, 1 agosto 1898 (La sopravvivenza del corpo), Traduzione dall’originale in francese di G. BERTORINO.

 

[46] L. FERRARA, La survivance du corps, pp. 30-31.

 

[47] Ibidem.

 

[48] Ibidem.

 

[49] “Les Mondes”, tome 16, 12 mars 1868.

 

[50] E. MARINI, Ancora sulla salma, cit.