Ma
egli divenne ancor più celebre per aver pietrificato il sangue
di Garibaldi, ferito sull’Aspromonte, componendolo in un medaglione
che egli stesso regalò all'Eroe dei Due Mondi. Lo scienziato
cagliaritano si trovava sull’Aspromonte, nei giorni della battaglia,
seguiva Garibaldi ed ebbe l’occasione di giungere fra i primi soccorritori
dell’eroe e di raccoglierne immediatamente il sangue .
Mano
di giovinetta pietrificata, donata alla città di Sassari
nel 1876 Ad
un certo punto, comunque, il Marini si rese conto che per arrivare
a conseguire i suoi obiettivi doveva puntare ad una utilità
pratica dei suoi preparati, perché non fossero visti solamente
come l’opera bizzarra di uno scienziato un po’ matto o, peggio,
trofei macabri della follia umana. I preparati per la pietrificazione,
infatti, potevano avere numerose applicazioni, per questo si risolse
di portarli alla grande Esposizione Industriale Italiana svoltasi
a Milano, nel 1881. “Le pelli conservate con questo sistema possono essere trasportate da lontanissime regioni nello stato di naturale freschezza o secche, per poi ritornarle al primitivo stato di freschezza sempre che occorra. Le pelli fresche, dopo essere state tre ore immerse nel preparato, sono garantite dalla putrefazione e possono essere immediatamente spedite in commercio o seccate, esponendole alla corrente d’aria atmosferica” .
Invenzioni chiaramente in anticipo
sui tempi che dovettero apparire, ai più, il prodotto bizzarro
dell’immaginazione di un personaggio pittoresco, a metà fra
lo scienziato e il negromante. Difatti le proposte del Marini rimasero
lettera morta e allo scienziato non venne fatta alcuna proposta
concreta per l’utilizzazione industriale dei suoi preparati. “Sono pronto a rivelare le scoperte utili per gli studii anatomici, signor Ministro della Pubblica Istruzione quando mi sarà resa giustizia dei torti che durante i miei esperimenti mi furono fatti alla mia carriera universitaria, non chiedo altro” . “Essa
contrasta con il lungo elenco dei titoli che il Marini aveva posto
all’inizio del suo libretto. Entrambi gli inserimenti appaiono estremamente
significativi del dramma intimo che il Marini visse durante tutta
la sua carriera scientifica. L’elenco dei titoli onorifici rappresentava
la certezza dell’importanza dei suoi studi, confortata dal parere
di tanti personaggi illustri; la disperata postilla finale, al contrario,
rendeva esplicita l’amara realtà dell’essere assolutamente
snobbato dalle autorità accademiche e politiche della sua
patria. Efisio
Marini intorno al 1898 Le ultime righe dell’articolo del Ferrara sono tristemente profetiche riguardo ai destini che incombevano sullo scienziato: “Chi
può e chi deve vi pensi bene; il fatale incantesimo che pesa
su questa importante scoperta sia infranto; il Dr. Marini non abbia
più ragione di considerare vanamente esauriti la sua vita,
il suo genio e la sua fortuna, e soprattutto non possa più
ripetere quanto mi diceva un giorno, al culmine dell’abbattimento,
mentre nell’ombra del suo gabinetto la sua bianca testa s’illuminava
come quella di un martire: Marini
cadde in sempre maggiori ristrettezze economiche; per mantenersi
decorosamente si era adattato a esercitare la professione di medico,
ma i clienti andavano sempre più diradandosi a causa delle
malelingue e la maldicenza degli stessi colleghi. La vita dello
scienziato si fece ancora più triste e amara mentre molti
dei suoi colleghi diffusero la notizia che fosse addirittura diventato
pazzo.
Il corpo di Maria Courrier, pietrificata da Efisio Marini (immagine concessa da Giorgio Bertorino) Col
tempo si era fatto sospettoso, egli escogitava i sistemi più
strani per procurarsi i materiali per le sue ricerche, spargeva
di canfora le stanze della sua casa, per non lasciar trapelare gli
odori dei suoi preparati e le immaginarie spie da cui si sentiva
circondato non riconoscessero la formula dagli odori. Cercava di
proteggere il suo segreto con ogni mezzo. “A Efisio Marini, che attenuando la forza corruttrice placò la morte, non la fortuna né l’ignavia dei vivi, che lasciarono spegnere tanta fiamma senza alimento. O italiani, la giustizia postuma è rimorso” . A parte questo ricordo, i cagliaritani per tanti anni hanno trascurato di coltivare la memoria del loro illustre concittadino, se si esclude la decisione di dedicargli una strada cittadina, nei pressi di Via Pessina. Cadaverino fotografato cinque mesi dopo la morte (1884), immagine concessa da Giorgio Bertorino |