Nonostante
il suo successo scientifico, Marini si trovò a fronteggiare
il sospetto e l'ostilità dei cagliaritani, i quali per via
delle continue polemiche sul suo conto, lo ritenevano oramai una
sorta di stregone. I motti canzonatori e gli attacchi continui gli
avevano reso insostenibile la vita a Cagliari e lo scienziato decise
di abbandonarla per un certo tempo e andare a respirare un’aria
più libera e gratificante. Inizialmente egli si trasferì
a Parigi, dove i suoi successi furono crescenti e clamorosi.
All'Esposizione Universale di Parigi del 1867, Marini mostrò
i sensazionali risultati della sua scoperta. Lo stesso Imperatore,
Napoleone III si complimentò con lui e diede l’incarico al
professor Nélanton, della Facoltà Medica di Parigi,
di esaminare approfonditamente i pezzi pietrificati. Marini riconoscente
gli donò un incredibile tavolino composto da una serie di
organi animali e umani pietrificati.
Il gusto morboso e macabro dello scienziato viene fuori proprio
nel modo in cui egli concepì un simile tavolino: i pezzi
umani, disposti simmetricamente sul piano, erano mossi da ingegnosi
meccanismi, che realizzavano un movimento lugubre e allucinato.
Messo alla prova dal Nélanton e grazie al suo misterioso
procedimento lo scienziato sardo pietrificò, restituendogli
l'antica consistenza, il piede di una mummia egizia: esso sembrava
provenire da un cadavere ancora fresco. In virtù di un simile
incredibile risultato, l’Imperatore volle decorarlo con la Legion
d'Onore: Marini divenne per un certo tempo il personaggio più
popolare di Parigi.
Sul
piede fornito da Auguste Nelaton, Efisio Marini mostrò l’inversione
del processo di mummificazione rendendolo di nuovo flessibile, tanto
che Nelaton certificò che il nuovo stato malleabile dei tessuti
gli consentì di sezionare il muscolo adduttore del primo
dito (immagini concesse da Giorgio Bertorino).
I successi erano continui e Marini divenne il protagonista delle
principali esposizioni europee. Numerose furono le offerte di insegnamento
fattegli dalle università francesi ed europee, ma lo scienziato
rimase testardamente ostinato nel suo patriottico desiderio di insegnare
in Italia. Purtroppo, nonostante l'interessamento di amici e intellettuali
influenti, egli non riuscì a ottenere l'incarico a causa
dell'aura di sospetto che lo circondava.
La condizione indispensabile perché Marini potesse avere
una cattedra era, secondo il ministro della pubblica istruzione
Gianturco, che lo scienziato rivelasse prima il segreto della pietrificazione
. Marini temeva che la formula potesse essere utilizzata da individui
privi di scrupoli per fini di lucro o, peggio, che una volta svelato
il segreto si sarebbe potuto fare a meno di lui, dimenticarlo. Così
non cedette al ricatto e la sua carriera universitaria si interruppe.
Arrivarono le prime amarezze e le disillusioni.
Secondo quanto raccontò la pronipote di Agostino Lay Rodriguez,
pare che il Marini, deluso e adirato, aiutato dallo stesso amico
fotografo, in una mattina dell’inverno del 1867 avesse trasportato
parte delle sue opere, gli esperimenti e i composti chimici al Molo
di Levante, nel porto di Cagliari gettando tutto in mare . Pochi
giorni dopo partì per Napoli, in esilio volontario, alla
ricerca del definitivo riconoscimento per i suoi studi, in un ambiente
meno provinciale e attento al suo vero valore.
A Cagliari fece ritorno solamente nel 1868, per ringraziare la “Società
degli Operai”, che aveva deciso di onorarlo con una medaglia, in
riconoscimento dei suoi meriti scientifici. Fu una delle rarissime
soddisfazioni che la sua città matrigna seppe dargli .
In Napoli egli intravedeva una Cagliari in versione ingrandita e
meno pettegola, più vicina al resto del mondo. Qui Marini
proseguì gli esperimenti e difese più volte la validità
dei suoi risultati scientifici, contro gli invidiosi, gli increduli
e i pettegoli che continuavano a metterne in dubbio le capacità.
Sempre a Napoli chiese l’istituzione di una cattedra speciale dalla
quale parlare delle sue scoperte.
Ben poco di quanto era nei suoi desideri si realizzò.
Biglietto da visita di
Efisio Marini con il suo indirizzo napoletano
Per cortesia del professor Vincenzo Esposito
Direttore dell’Istituto di Anatomia dell’Università di Napoli
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