IL
“DOSSIER” MARINI
di
Giorgio Bertorino
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Quando
mi è stato rivolto l’invito, immeritatamente, di scrivere
queste righe, in qualità di remoto parente di Efisio Marini,
su questo straordinario personaggio che coinvolgeva la memoria storica
della mia famiglia e mia personale, sono stato letteralmente assalito
dai dubbi e dagli interrogativi senza risposte che, via via, ho
accumulato nel corso della mia indagine conoscitiva; al punto che
ho avuto la percezione istintiva, peraltro non del tutto personale,visto
il ruolo del personaggio nei romanzi di Giorgio Todde, di avere
a che fare con un “dossier” il cui interprete, nel più puro
stile alla Ian Fleming, pur animato da un inconscio senso di protagonismo,
restava celato nell’ombra, al riparo da qualsiasi vera indagine
poliziesca.
Quando ero fanciullo, la mia famiglia, di agiata borghesia, ma avviata
verso l’inesorabile declino delle trasformazioni sociali del dopoguerra,
possedeva una ricca e preziosa biblioteca di pubblicazioni, enciclopedie,
riviste, estratti, nelle più disparate lingue europee, frutto
degli studi e delle ricerche accademiche di mio nonno, prof. Giovanni
Marini, prima assistente ordinario e libero docente alla Regia Università
di Bologna e poi, dal 1910, primario e libero docente alla Clinica
Medica della Regia Università di Cagliari. Non ho conosciuto
mio nonno; mia madre, l’unica figlia, l’aveva perso che era adolescente;
più di vent’anni separavano la data della sua morte (1929)
dalla mia nascita, ma la sua esistenza in famiglia continuava ad
aleggiare in una sorta di alone mistico, se non altro con la presenza
ingombrante, quasi da sacrario, di quella imponente e vetusta libreria,
appartata e remota in un angolo della casa, il cui accesso era,
se non proprio proibito, quantomeno di scarso o relativo interesse
per i discendenti di mio nonno, tutti avviati su altre vie di conoscenza.
Senza la paranoica mania della pulizia di mia nonna e mia madre,
la polvere e le tarme dei libri avrebbero fatto scempio di quel
tesoro di cognizione scientifica in campo medico della fine del
XIX e dell’inizio del XX secolo; purtroppo, forse la parte più
preziosa, almeno dal punto di vista di estetica libraria, diventò
oggetto di donazione da parte di mia madre ad amici più interessati
di noi a dar lustro alle loro biblioteche.
Ricordo che tra le file di libri risaltava, per la diversità
del formato e dell’aspetto esterno, un album, con copertina di pelle,
composto di fogli a tasca e contenente una fotografia per pagina.
Poche didascalie, in parte riportate a mano, in parte stampate con
l’indicazione dello studio fotografico che le aveva eseguite, ed
una dedica in prima pagina: “Questo ricordo alla famiglia del mio
caro fratello Ignazio. Napoli”, completavano il tutto. Alla nostra
curiosità infantile, mia nonna soddisfaceva, con un malcelato
senso di ammirazione ma anche di evidente “grisu” (per usare un
termine sardo castellano, che veniva usato con una certa ricorrenza
nei confronti degli esperimenti di Efisio Marini, per esprimere
una sorta di repulsione e di ribrezzo), raccontandoci che si trattava
della documentazione di uno zio di nonno, che aveva realizzato certe
conservazioni anatomiche, con la pietrificazione di interi corpi
ed il successivo ripristino del colorito e della flessibilità
delle membra, come risultavano ben evidenti dagli sbiaditi colori
delle fotografie medesime; che il Marini era morto in povertà
a Napoli, coinvolgendo nella stessa sorte la figlia Rosa, per non
aver voluto trasmettere a nessuno il segreto del suo preparato.
Questi gli antefatti personali storici del “dossier” Marini. Pochi
anni fa, quando in un uomo, come il sottoscritto, gli interessi
quotidiani della vita personale cominciano ad albergare, talvolta
in palese contraddizione e, comunque, senza costante dedizione,
insieme ad una sorta di innata ricerca della verità di certi
fatti, mentre procedevo alla stesura della bibliografia ed alla
sistemazione delle pubblicazioni di mio nonno, mi capitò
tra le mani un opuscolo in francese, La Survivance du corps, estratto
della Revue des Revues, n. del 1° agosto 1898, pubblicato a
Parigi a nome di Luigi Ferrara di Napoli. Sulla copertina spiccava
la dedica manoscritta: “A Giovannino. 1900”. Era quello l’anno di
laurea di mio nonno e l’anno della morte di Efisio Marini. Allora,
mi dissi, il rapporto tra i due non era così distante come
fino ad allora avevo creduto, sulla base dei racconti fattimi. Tradussi
la pubblicazione, che era un riassunto sintetico della vita e degli
esperimenti del Marini, fatto da un abile giornalista, che più
che fare un’esaltazione mercenaria delle sue doti sembrava più
stupito ed ammirato delle sue eccezionali qualità. Ma qui
cominciavano gli interrogativi. Perché una tale pubblicazione,
di matrice italiana, veniva pubblicata in traduzione a Parigi, con
grande risalto, e sembrava non esservi traccia in Italia? Perché
l’omaggio di essa a mio nonno? Era forse il giusto premio per un
membro della famiglia che era entrato, con la laurea, nel novero
degli scienziati iniziati nel campo della medicina? E perché
la presenza dell’album del Marini tra i documenti di mio nonno?
Ignazio, il fratello di Efisio, non era il padre di mio nonno. Quell’oggetto,
che, per la veste e la preziosità, sembrava ad ogni apparenza
un intruso nella bibliografia di mio nonno, poteva essere stato
rifiutato dai membri diretti della famiglia di Efisio e quasi “scaricato”
ad un membro collaterale della stessa famiglia, più vicino
ad Efisio per estrazione scientifica e per minore attaccamento alla
religione costituita? In effetti gli eredi diretti di Efisio hanno
intrecciarono rapporti coniugali con le famiglie dell’alta borghesia
più cattoliche della città (Fantola, Birocchi, etc.),
mentre, nella mia discendenza, insieme al sostrato pur profondamente
cattolico aleggiava l’aura di un critico positivismo.
Che cosa legava Efisio Marini a Parigi? Quando nel 1864 Efisio è
a Parigi per presentare le sue scoperte al mondo scientifico in
pochissimo tempo riesce ad attirare su di sé gli sguardi
più attenti della scienza parigina, fino al punto di avere
accesso privilegiato alle Tuileries, residenza di Napoleone III.
Si sa che in quel periodo Parigi è la fucina dell’occultismo
ed il ritrovo delle correnti spiritualiste mondiali; la Massoneria
vi ha un ruolo privilegiato e pare che Efisio fosse massone come
lo stesso Lay Rodriguez e Baccaredda. In tale veste non gli è
estranea una certa predisposizione e tendenza all’alchimia. Che
ruolo ha avuto quest’ultima negli esperimenti del Marini? A cominciare
dagli esperimenti fotografici eseguiti in gioventù con l’amico
Lay Rodriguez? I reiterati attacchi portatigli dalle più
bigotte correnti ecclesiastiche cittadine, come traspaiono da Is
goccius de is Frammassonis, che conseguenze hanno determinato nelle
sue relazioni con la famiglia e con la borghesia cittadina più
retriva? E come devono inquadrarsi le polemiche tra lo stesso Baccaredda
ed il Marini, entrambi Fratelli Liberi Muratori, a proposito della
conservazione del corpo di Pietro Martini?
Le mie ricerche agli Archives Nationales di Parigi non sono riuscite
ad approdare neppure al fatto se, come pare, Efisio abbia ricevuto
il titolo di Cavaliere delle Legione d’Onore da parte di Napoleone
III e con quali motivazioni. Il nome di Efisio Marini non compare,
o sembra non comparire, nel santuario della Storia di Francia. Me
l’ha impedito la difficoltà della lingua o l’affrettata ricerca,
oppure si cela qualcosa di misterioso la cui natura mi sfugge? Analoghi
tentativi effettuati alla Bibliothèque Nationale mi hanno
consentito soltanto, dopo disperati e mirati sforzi, di rintracciare
alcuni estratti di Riviste scientifiche dell’epoca (1864-1868) che
esaltavano l’opera del Marini ed i rapporti con il Grande Imperatore
francese. Del famoso tavolino, donato da Marini all’Imperatore e
da questi fatto esporre, con espresso ordine al decano della Facoltà
di Medicina, al Museo di Anatomia dell’Orfila, non esiste più
traccia. Miei conoscenti interessati alle ricerche del Marini, recatisi
personalmente al suddetto Museo hanno ricevuto risposte evasive
e nessuna conferma della sua esistenza. Sono definitivamente tramontate
“la scienza e l’arte” che “illuminano in questo caso la natura di
un giorno tanto nuovo e puro, che ogni sentimento di orrore è
scomparso, per lasciare posto, nella mente così elevata di
Napoleone III, solo all’ammirazione”?
Che fine ha fatto il dono di una mano di donna “recisa dal cadavere”
nel 1864, e conservata allo stato coriaceo, fatto da Marini al Municipio
di Sassari”? Possibile che sia scomparsa, senza lasciare traccia,
dall’inventario dei beni di un’Amministrazione Pubblica?
Perché il Museo di Anatomia di Napoli che conserva dei pezzi
del Marini, fotografati non più tardi dell’anno 2000, non
consente la momentanea consegna su richiesta, in occasione della
presentazione al grande pubblico degli esperimenti del Marini? Passi
per l’Istituto di Anatomia di Cagliari, che afferma di non possedere
più reperti del Marini, dando indirettamente conferma della
leggenda che vuole lo stesso scienziato, prima di abbandonare definitivamente
Cagliari, aver gettato tutti i suoi preparati al porto; eppure,
persone degne di fede assicurano che ancora negli anni ’60 le opere
del Marini si potevano osservare fra gli scaffali di quell’Istituto.
Interrogativi, tutti, che restano finora senza risposte esaustive.
Il “Dossier” Marini, almeno per me, investe il campo dello spionaggio
puro, tra mezze verità rivelate, misteri sottaciuti, grandi
manifestazioni di esaltazione non seguiti da fatti concreti, occultamenti
di prove fondamentali, riserbi inspiegabili e, sul fondo, appena
individuabile, una grande espressione di protagonismo inappagato.
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